L’incubo di uno Stato automatizzato. "Silicon Valley" di Evgeny Morozov
Di
Damiano Palano
Questa segnalazione del volume di Evgeny Morozov, Silicon Valley: i signori del Silicio (Codice, pp. 151, euro 13.00), è apparsa con il titolo Se i gestori dei miei dati diventano i padroni dello Stato su "Avvenire" del 16 febbraio 2016.
Sul
finire degli anni Sessanta il pubblicitario americano Robert MacBride mise in
guardia dallo spettro di uno “Stato automatizzato”. Allora negli Usa si stava
discutendo delle opportunità che avrebbe offerto l’istituzione di un centro
nazionale in cui fossero aggregate tutte le informazioni statistiche relative
al Paese. Naturalmente un simile centro avrebbe consentito una notevole
efficienza, ma avrebbe aperto anche scenari inquietanti. Perché nello “Stato
automatizzato” il cittadino, pur senza perdere i diritti politici, si sarebbe
trovato disarmato dinanzi all’enorme potere che garantiva il possesso dei
metadati. Lo scenario prospettato da McBride oggi è largamente superato, perché
le nuove tecnologie consentono un monitoraggio molto più sistematico e
pervasivo dei nostri comportamenti. Ed è proprio sui rischi di questo scenario –
tutt’altro che fantascientifico – che attira l’attenzione Evgeny Morozov in Silicon Valley: i signori del Silicio
(Codice, pp. 151, euro 13.00).
Divenuto negli ultimi anni uno dei più noti
critici dei miti e delle utopie della Rete, Morozov sottolinea gli effetti meno
visibili della rivoluzione in corso, che qualcuno ha anche definito come
“capitalismo delle piattaforme”. La vera innovazione cui stiamo assistendo
riguarda infatti la centralità che assumono piattaforme come Facebook, Uber e
Airbnb, sulle quali i clienti interagiscono l’uno con l’altro, e nel quale
sembra sparire qualsiasi ruolo di intermediazione da parte di altri soggetti.
Naturalmente tutto questo ha conseguenze enormi, per esempio sulla
regolamentazione del mercato del lavoro. Ma non è tanto su questi elementi che
si sofferma Morozov, quanto sulle attività “secondarie” che caratterizzano la
vita di una piattaforma. Una piattaforma come Uber offre per esempio
infrastrutture per pagamenti online, per identificare passeggeri indesiderati e
per localizzare la vettura del cliente in tempo reale. E proprio i dati di cui
viene in possesso in questo modo sono per molti versi più importanti dello
stesso servizio di trasporto. Perché l’enorme mole di informazioni che riguardano
tutte le nostre attività quotidiane – dagli spostamenti in città ai viaggi,
dalle preferenze di lettura agli orientamenti politici, dalle passioni
gastronomiche al tifo calcistico – sono un patrimonio di valore inestimabile
dal punto di vista del marketing. Chi ne dispone è infatti in grado di proporre
un certo prodotto proprio alla persona che può essere interessata, nel momento
stesso in cui è più disponibile ad acquistarlo. Quei dati, in cui si nascondono
le mappe delle nostre vite, consegnano così alle piattaforme che li gestiscono
un grande potere politico. Non solo perché ovviamente sono informazioni sulla
nostra vita privata. Ma soprattutto perché sono in grado di suggerire ai
governi soluzioni ‘intelligenti’ per indirizzare, mediante algoritmi, il
comportamento dei cittadini, per indurli a stili di vita più sani, per
risolvere i problemi di viabilità, per rendere “smart” le nostre città. Una
simile trasformazione – ed è questo il monito principale del volume – è allora destinata
a produrre un governo in cui le decisioni più rilevanti saranno affidate alle
aziende tecnologiche e ai burocrati, e cioè a chi possiede i dati. Ma, come
scrive Morozov, non è affatto scontato che “una politica gestita da dispositivi
intelligenti” sia davvero “una politica intelligente”.
Damiano Palano
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