lunedì 22 febbraio 2016

La metamorfosi di un partito liquido. I dilemmi del Movimento 5 Stelle


di Damiano Palano

Questa nota è apparsa sul numero di febbraio della rivista "Formiche" (n. 2/2016).

Nel suo Elementi di scienza politica Gaetano Mosca scriveva che due delle qualità essenziali per le classi dirigenti sono, o quantomeno dovrebbero essere, la lealtà verso i propri subordinati e il coraggio personale. Se però queste qualità non sono mai state decisive per l’affermazione di una classe politica, probabilmente non lo sono neppure oggi, nell’età della «democrazia del pubblico». E così il futuro del Movimento 5 Stelle – per quanto le sue fortune siano state finora effettivamente legate proprio all’immagine di una forza politica capace di sfidare a viso aperto la «casta» e di smascherarne le menzogne - non si giocherà su questo terreno, o quantomeno solo su questo. Se oggi, dopo il ‘caso Quarto’, la formazione fondata da Grillo è oggetto forse della prima crisi di credibilità, è probabile che anche nel prossimo futuro continuerà a rappresentare forse la più insidiosa spina nel fianco per il Partito Democratico di Matteo Renzi, almeno fino al momento in cui il fronte di centro-destra tornerà a coagularsi attorno a un’unica leadership. D’altronde negli ultimi due anni i sondaggi hanno costantemente attribuito percentuali in ascesa o comunque in linea rispetto al risultato delle elezioni del 2013. E per quanto la capacità previsionale dei sondaggi abbia ultimamente mostrato ben più di qualche limite, questi dati testimoniano comunque che, a quasi tre anni dall’ingresso in Parlamento, presso una fetta consistente dell’opinione pubblica italiana non si è ancora offuscata l’immagine di partito ‘anti-sistema’ – o ‘anti-casta’ – che ha sancito l’exploit del 2013. 
Se in questo senso il «partito liquido» di Grillo sembra avere stabilito almeno in parte un legame di identificazione con il proprio elettorato, sarebbe ingenuo sottovalutare i problemi che il M5S si troverà ad affrontare da qui alle prossime elezioni politiche. Perché è forse proprio su questo piano che si nascondono le insidie più rilevanti. Insidie che, per molti versi, sono legate proprio al successo del Movimento e al fatto che, alla prossima scadenza elettorale, non sarà sufficiente innalzare le bandiere della protesta, ma diventerà necessario mostrare il volto anche di potenziale – e credibile – forza di governo.
Naturalmente alla domanda se oggi i parlamentari pentastellati abbiano le carte in regola per accedere al governo la risposta rischia di essere scontata. L’assenza di esperienza amministrativa – anche a livello locale – da parte della classe politica nazionale del Movimento non può infatti non pesare negativamente, e non poco, sulla credibilità di un’alternativa di governo al ‘renzismo’. E inoltre le esperienze tutt’altro che esaltanti di alcune amministrazioni locali a guida M5S non contribuiscono certo a rafforzare l’impressione che una vittoria della formazione ‘grillina’ alle prossime politiche equivarrebbe a una sorta di imprevedibile ‘salto nel buio’. Accanto a questo, è però necessario riconoscere che, dal momento del loro ingresso in Parlamento, deputati e senatori del Movimento hanno mostrato di sapere imparare rapidamente quantomeno le regole della politica spettacolo. E nonostante il piano della comunicazione elettorale sia ben differente da quello della concreta attività di governo, l’impatto con la realtà della politica parlamentare, insieme con la pratica dei talk-show, ha fatto emergere nuovi leader – come soprattutto Antonio Di Maio - che non solo hanno ormai un ruolo riconosciuto, ma godono anche di livelli credibilità non trascurabili presso l’opinione pubblica. Anche per questo, non si può così scartare l’ipotesi che, seppur in nuce, si trovino già oggi tra i banchi occupati dai pentastellati anche futuri leader di governo. Al di là delle capacità dei singoli, la difficoltà principale che il M5S dovrà superare nei prossimi mesi per accreditarsi come credibile alternativa di governo ha a che vedere con la sua stessa identità, e dunque con le linee principali del prossimo programma di governo.
Oggi il M5S ha ormai molto poco del «partito personale» di Grillo e Casaleggio, che tre anni fa portò a Roma giovani del tutto sconosciuti. Ma non bisogna trascurare il fatto che tre anni di attività politica hanno sostanzialmente dissolto, o comunque posto in secondo piano, anche molti dei cardini ‘ideologici’ del movimento. Prima fra tutto l’idea – un po’ naïv – secondo cui la democrazia diretta della Rete avrebbe offerto una valida alternativa alla democrazia parlamentare, di cui anzi, dinanzi alle riforme renziane, i pentastellati sono diventati per molti versi agguerriti difensori. Naturalmente i programmi non sono l’arma decisiva per vincere le elezioni, e il problema per il Movimento non consisterà dunque solo nello stilare una serie di misure, più o meno convincenti e originali. Per costruire una narrativa credibile, il Movimento dovrà soprattutto ritrovare dei punti forti, che differenzino in modo sostanziale – e non solo invocando una diversità ‘morale’ – la propria offerta da quella dei contendenti su alcuni punti chiave, come in particolare il rapporto con l’Ue, la moneta unica e i flussi migratori. Ed è forse proprio che si nasconde l’insidia maggiore. Perché è probabile che la necessità di diradare la nebbia che nel 2013 ancora avvolgeva i propri programmi debba mettere a dura prova uno dei fattori principali del successo del Movimento 5 Stelle. Ossia l’immagine di forza ‘post-ideologica’ (e forse persino ‘post-politica’), non riconducibile né alla destra né alla sinistra.

Damiano Palano

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