

Gli aspetti più originali della rilettura delineata da Cavalletti risiedono probabilmente nel tentativo di ripensare Marx in parte attraverso Foucault, ma, soprattutto, attraverso Benjamin. Da un primo punto di vista, è infatti senz’altro interessante lo spostamento del luogo genetico della classe (e della sua solidarietà) dalla sede del processo lavorativo alla società, intesa non soltanto come ambito dell’individualizzazione, ma anche come dimensione (costantemente) ridefinita dalla ‘biopolitica’. Sotto un secondo profilo, è però altrettanto rilevante (e forse qualificante) anche l’operazione con cui Cavalletti, inserendosi in una lacuna evidente del pensiero marxiano, giunge – con Benjamin – alla definizione della classe come «allentamento». Proprio perché Marx si focalizza sulle condizioni ‘strutturali’ della classe e dei suoi movimenti, rimangono infatti quasi del tutto assenti nelle sue pagine i meccanismi, anche emotivi, dell’azione della classe lavoratrice. Nella ricostruzione di Cavalletti, il momento cruciale in cui la massa si allenta e in cui emerge la classe è invece proprio la rivolta, intesa – nei termini di Benjamin – come rottura messianica della continuità storica: una rottura che esige «un ordine temporale del tutto nuovo», nel quale «non vi è più una vita integrabile senza limiti nella società, ma una vita già illimitata e immediatamente sociale, che non può cioè in alcun modo diventare sociabile» (p. 119). E, in questa prospettiva, è dunque perfettamente comprensibile il recupero di Sorel compiuto da Cavalletti, perché lo sciopero generale, come viene rappresentato nelle Riflessioni sulla violenza, sembra configurare effettivamente «l’evento creatore in cui la collettività tocca se stessa» (p. 117), il prodotto che si realizza «soltanto nell’allentamento, quale apparizione incomparabile della classe rivoluzionaria» (p. 118).
Nella dicotomia fra massa e classe individuata da Cavalletti, la massa appare certamente come il polo più saldo. La saldezza della massa non determina però la completa scomparsa della classe, o quantomeno l’eliminazione di ogni sua potenziale emersione, tanto che persino oggi – come scrive l’a. nelle pagine conclusive – è possibile pensare all’affiorare della «vera solidarietà, che sconvolge la massa compatta trasformandola in classe rivoluzionaria, ossia, da folla, semplicemente in classe» (p. 136). Ma, se l’enfasi sull’«allentamento» della massa (e sull’emergere della solidarietà rivoluzionaria) costituisce il tratto saliente dell’ipotesi di Cavallletti, è probabilmente intorno a questo punto che sono destinati ad emergere alcuni interrogativi teorici. La prima questione investe proprio l’emergere della Solidarität. Nell’ottica marxiana, la classe operaia scaturisce infatti dall’elemento materiale della cooperazione produttiva, che allestisce le condizioni per la formazione di un ‘soggetto collettivo’. La solidarietà è allora anche un elemento materiale, che si ‘cristallizza’ nel livello del lavoro socialmente necessario e, dunque, nella giornata lavorativa sociale, un processo, o quantomeno una componente (non determinata in modo necessario), di un assetto definito, per così dire, a livello strutturale. Se invece si ritrova l’elemento qualificante della classe nella solidarietà, e nella rivolta in cui tale solidarietà si manifesta, si finisce con lo svuotare di ogni determinazione materiale la nozione marxiana di classe. Con l’inevitabile difficoltà di capire dove risieda l’elemento che distingue la rivolta della classe dall’irruzione politica di quella folla – più o meno criminale – descritta (e deformata) da scrittori come Taine, Sighele o Le Bon. In altre parole, se si trova la specificità della classe nella sua rivolta e nella solidarietà che essa esprime («l’atto antipsicologico di dissoluzione della folla», p. 135), e non nella sua determinazione materiale, diventa difficile distinguere in modo chiaro la psicologia collettiva della classe da quella delle masse (magari populiste, reazionarie, razziste). Da questo primo problema consegue però un ulteriore interrogativo, che riguarda le conseguenze stesse della rivolta. Se infatti si svuota la Solidarität dalle sue determinazioni materiali e la si intende come l’elemento psicologico, emotivo, che presiede all’emergere della classe, è piuttosto scontato che tale solidarietà debba apparire come una condizione del tutto momentanea. In altri termini, se la solidarietà emerge nella rivolta, e se la rivolta si manifesta in una sospensione del tempo storico, entrambe sono destinate – fin dal loro apparire – a una rapida scomparsa. E, così, il concetto di «classe» rischia di diventare un concetto sempre più evanescente. In grado forse di cogliere il clima emotivo che contrassegna le fasi più intense di mobilitazione collettiva, ma del tutto incapace di seguire le intricate traiettorie con cui si ridefiniscono dinamiche produttive e relazioni sociali.
Damiano Palano
Andrea Cavalletti, Classe, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, pp. 160.