domenica 12 settembre 2021

Il potere fragile delle nuove folle. Dal protagonismo delle piazze alla repressione digitale. Un'analisi da "Vita e Pensiero"



di Damiano Palano

Questa testo - che è uno stralcio da un più ampio articolo pubblicato sulla rivista "Vita e Pensiero" (3/2021) - è apparso sul quotidiano "Il Foglio" il 16 luglio 2021.

Pochi mesi prima di morire, nel marzo 1895, Friedrich Engels scrisse una densa introduzione al volumetto sulle Lotte di classe in Francia, in cui Marx aveva ricostruito gli eventi del 1848. Tornando a rileggere quelle pagine, Engels non esitava a riconoscere come l’intera interpretazione dell’amico scomparso fosse stata viziata da una serie di errori fatali. «La storia», ammetteva Engels, «ha dato torto anche a noi», «ha rivelato che la nostra concezione di allora era un’illusione». Le diverse crisi dell’economia capitalistica non avevano provocato il tanto atteso «crollo» generale, né l’impoverimento crescente delle masse operaie. Ma, soprattutto, alcune trasformazioni tecniche avevano radicalmente modificato le modalità della lotta politica. «Se le grandi città sono diventate notevolmente più grandi», scriveva, «gli eserciti si sono accresciuti ancora di più», e «l’armamento di questa massa di soldati è diventato incomparabilmente più efficace». Le barricate che Marx aveva celebrato in tante occasioni non potevano dunque più rappresentare un esempio cui guardare. La direzione era piuttosto indicata da quanto era avvenuto in Germania, dove il partito socialdemocratico aveva iniziato infatti a partecipare alle elezioni, conquistando consensi sempre più ampi e avviandosi verso quella che appariva come una inevitabile e pacifica presa del potere.

Nel corso del Novecento, le barricate non sono del tutto scomparse dal repertorio dei movimenti di protesta, e talvolta hanno fatto una fugace ricomparsa, come ci ricorda puntualmente l’iconografia del «maggio 68». Ma, come Engels aveva intuito, le vere protagoniste del XX secolo sono state proprio le «masse», organizzate dai partiti nelle democrazie competitive, o mobilitate «dall’alto» nei regimi autoritari e totalitari. E a insidiarne la centralità sono stati semmai il «pubblico» dei lettori di giornali e, più tardi, le platee dello spettacolo televisivo. Negli ultimi decenni – con sempre maggiore intensità – le cose sembrano però essere almeno in parte cambiate, perché la «politica della strada» pare aver riconquistato un ruolo. Non più monopolizzate dalle manifestazioni di regime o occupate dalle bandiere di partito, le piazze sono diventate per molti versi il luogo in cui aggregare l’opposizione al «Palazzo», l’arena in cui esibire una protesta non violenta, pacifica, lontana tanto dall’iconografa delle barricate ottocentesche, quanto dalle manifestazioni del «secolo breve». Molti hanno riconosciuto nelle nuove folle una richiesta di partecipazione diretta alla vita politica, amplificata dalle potenzialità delle nuove tecnologie. E quei rapporti di forza che secondo Engels condannavano all’obsolescenza l’azione delle folle urbane sembrerebbero dunque essersi nuovamente rovesciati. Ma il ritorno delle piazze, che con alterne vicende ha segnato l’ultimo trentennio, potrebbe essere un fenomeno temporaneo, e il potere della loro protesta rischia di rivelarsi nel prossimo futuro nuovamente molto fragile.

 Nelle democrazie consolidate, le piazze hanno mostrato, nel corso dell’ultimo decennio, il volto degli Indignados spagnoli, quello di Occupy Wall Street e di Black Lives Matter, quello indecifrabile dei Gilet gialli in Francia e anche quello inquietante dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Ma è stato soprattutto nell’Europa orientale, in Nord-Africa e in America Latina che le piazze sono state protagoniste importanti delle dinamiche politiche, nonostante solo in alcuni casi abbiano conquistato la meta che si prefiggevano.  Le rivoluzioni «colorate» in Georgia e Ucraina, all’inizio del nuovo secolo, videro infatti scendere in piazza migliaia di cittadini che, ricorrendo quasi sempre solo alla protesta pacifica, richiesero con successo elezioni regolari e le dimissioni di leader giudicati corrotti. La vittoria ottenuta dai manifestanti contribuì a diffondere in alcuni paesi circostanti analoghe modalità di protesta, e anche più di recente prolungate mobilitazioni contro la corruzione della classe politica hanno avuto come teatro la Moldova (2015), la Macedonia (2016), l’Armenia (2018) e, durante la pandemia, la Bielorussia di Aljaksandr Lukašėnka, oltre che la stessa Russia, in occasione delle proteste contro il trattamento riservato ad Aleksej Naval'nyj. Dieci anni fa, al principio della «Primavera araba», i presidenti al potere in Egitto e Tunisia (Mubarak e Ben Ali) furono deposti proprio in seguito alla pressione popolare. In Libia, Siria e Yemen le proteste assunsero invece quasi immediatamente un profilo violento, che aprì una lunga stagione di conflitti. Ma anche recentemente in altri paesi nord-africani e medio-orientali – Marocco, Algeria, Giordania, Libano e Iraq – la piazza è tornata a farsi sentire per protestare contro la corruzione e gli effetti della crisi. Una dinamica in gran parte differente ha riguardato invece le piazze latinoamericane. Le mobilitazioni dei piqueteros argentini, diventate fenomeno di massa al momento del tracollo dell’economia del paese, nel dicembre 2001, fornirono infatti la prima esemplificazione di una mobilitazione contro le classi dirigenti, al grido «Que se vayan todos!», poi giunta anche in Europa. Le piazze latinoamericane sono spesso tornate a mobilitarsi contro le politiche di austerità, per esempio nel 2019, in Argentina contro il presidente Macrì, in Equador contro Moreno, in Perù contro Vizcarra e in Cile contro Pinera, per i tagli alla spesa pubblica e al rincaro delle tariffe dei mezzi pubblici. Di segno ben diverso sono state invece le mobilitazioni che in Venezuela e Bolivia si sono indirizzate sia contro i rispettivi governi, accusati di aver manipolato le elezioni (oltre che della violazione delle garanzie democratiche), sia a loro difesa, con il ricorso alla violenza da parte di entrambi gli schieramenti. E questo elenco delle mobilitazioni contro i «Palazzi» della politica, che offre solo una rassegna incompleta dei volti che le piazze hanno mostrato quasi in ogni area del mondo, potrebbe continuare ulteriormente, evocando per esempio le mobilitazioni delle «camicie rosse» tailandesi nel 2010 o le proteste degli studenti di Hong-Kong contro il governo di Pechino.

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