mercoledì 24 marzo 2021

L’asse geopolitico della storia. Il celebre saggio di Halford John Mackinder



di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Halford John Mackinder, Il perno geografico della storia. Ovvero il pivot d’Asia, è apparsa su quotidiano "Avvenire".

Secondo quanto racconta un vecchio aneddoto, negli anni Settanta un redattore del «Washington Post», leggendo un pezzo inviato al giornale da Henry Kissinger, si imbatté nel termine «geo-politica». E, pensando si trattasse di un refuso, lo corresse in «ego-politica». La storia non è molto credibile, ma è comunque un buon indicatore della pessima fama che circondò per decenni la geopolitica. Questo campo di studi fu in effetti bandito dall’accademia occidentale fino agli anni Novanta, a causa della sua identificazione con la Geopolitik nazista. Senza dubbio gli studi di geopolitica furono coltivati nella Germania hitleriana, e in particolare Karl Haushofer fu il principale esponente di un filone che pose al centro la relazione fra spazio e potere. Ma la storia della geopolitica inizia diversi anni prima, con Friedrich Ratzel, con lo svedese Rudolf Kjellen, con l’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan. Ma fu per molti versi lo studioso britannico Halford John Mackinder (1861-1947), con il suo saggio Il perno geografico della storia. Ovvero il pivot d’Asia (ora pubblicato in italiano, con una prefazione di Giuseppe Farinelli, dall’editore Le due Rose, pp. 115, euro 14.00), a delineare i termini di un approccio che si proponeva di comprendere le relazioni internazionali a partire dalla geografia. 

Se la vecchia tradizione europea aveva concepito la politica internazionale come il regno dell’equilibrio di potenza, con la geopolitica lo sguardo si spostò invece sulle grandi masse continentali. Mahan aveva sostenuto che le sorti della politica mondiale si giocassero sempre attorno al rapporto fra Terra e Mare, fra potenze terrestri e potenze marittime. Presentando le proprie ipotesi nel 1904 alla Royal Geographical Society, Mackinder aggiornò invece quell’immagine, spinto dalla convinzione che i collegamenti ferroviari – e dunque la possibilità di spostare rapidamente le truppe grazie alla strada ferrata – ridimensionassero notevolmente la centralità che in passato aveva avuto il controllo del mare. Più precisamente, Mackinder individuò una specifica area geografica, una «Pivot Area» (poi ribattezzata Heartland), che riteneva decisiva per il controllo della politica mondiale. Il «cuore» del mondo si trovava a suo avviso nell’area compresa tra l’Europa centrale e la Siberia occidentale. Chi avesse conquistato l’Heartland si sarebbe assicurato la supremazia sull’intera Eurasia, oltre sull’intero mondo. Ciò comportava dunque la necessità di impedire che la potenza tedesca riuscisse a estendere il proprio dominio verso Est. E l’unico modo per contrastare l’ascesa della Germania appariva un’alleanza fra le due potenze atlantiche, Stati Uniti e Impero britannico.

Nel vecchio saggio di Mackinder non si può naturalmente trovare una bussola per orientarsi nella politica contemporanea. Ma rileggere le pagine del geografico britannico può essere ancora utile per tornare a riflettere sul rapporto fra il potere e lo spazio nel mondo globalizzato, e dinanzi a un contesto profondamente modificato dalla rivoluzione tecnologica.

 Damiano Palano

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