domenica 25 ottobre 2020

Democrazia e politica nella bolla. Una recensione di Paolo Corsini a "Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione" (Scholé)


di Paolo Corsini

 Questa recensione al volume di Damiano Palano, Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione (Scholé-Morcelliana), è apparsa sulla rivista «ItalianiEuropei» (n. 5, 2020).

Damiano Palano, studioso della crisi del liberalismo, delle promesse non mantenute della teoria democratica, della “democrazia senza partiti”, nonché del populismo, oltre che curatore del volume di saggi  su Carl Schmitt dovuti a Gianfranco Miglio, si cimenta con  questo lavoro su di un fenomeno tipico della contemporaneità: quella sorta di emigrazione interiore per cui il soggetto si rinchiude in una bolla autoreferenziale costruita su misura, sui suoi gusti e preferenze, che lo illude di percepire la totalità dell’universo, inducendolo ad accreditare solo le informazioni che si adattano ai suoi convincimenti. A prescindere che siano vere o false. Una suggestione che all’autore deriva, tra gli altri, da un passaggio dell’ultimo discorso di Barack Obama tenuto a Chicago il 20 gennaio 2017, in cui, prima di passare le consegne a Trump, il presidente americano sentì la necessità di mettere in guardia i suoi concittadini da quelle “bolle” rassicuranti in cui si trovavano a vivere confortati da visioni del mondo assai riduttive, se non addirittura distorte, finendo con l’accettare solo informazioni conformi ad opinioni superficiali, anziché basare i propri convincimenti “sulle prove che ci sono là fuori”.  


Da qui una investigazione che, sulla base di una vastissima saggistica e con suggestive incursioni nella letteratura distopica del ‘900, sino alla fantascienza e alla cinematografia – da Robert A. Heinlein a Philip K. Dick, da George Orwell a Evgenij Zamjatin, da Aldous Huxley a Ray Bradbury, a King Vidor –, approda ad un’analisi assai innovativa degli sviluppi più recenti degli assetti democratici, alle prese con un rischio di “deconsolidamento” recessivo dovuto tanto a processi di lungo periodo – la crisi dell’ordine internazionale liberale, il declino progressivo dell’egemonia globale degli Stati Uniti – quanto a fenomeni in atto. Infatti, dopo la stagione di euforia seguita al 1989 sul presupposto di un’affermazione irrevocabile dei principi della liberaldemocrazia, nella transizione geopolitica e geoeconomica in corso si manifestano spinte nazionaliste, pulsioni identitarie, si esasperano meccanismi di polarizzazione che caratterizzano il proscenio politico contemporaneo. Ebbene, nel tempo della comunicazione globale che promette una nuova stagione di democrazia , la diffusione dei social media “favorisce dinamiche molto differenti – questa la tesi dell’autore – non solo da quelle della vecchia democrazia dei partiti, protagonista di una parte rilevante del Novecento, ma anche da quelle della democrazia del pubblico”, producendo processi di disintermediazione, ma soprattutto “una frammentazione del pubblico in una pluralità di segmenti tendenzialmente privi di radicamento in una sfera comunicativa comune”. 


In sostanza, un sistema in cui si creano “bolle” largamente autoreferenziali tendenzialmente polarizzate. Bolle dovute ad algoritmi che filtrano tutte le informazioni selezionandole lasciando penetrare solo ciò che ha valore confermativo di orientamenti, idee, opzioni politiche che il singolo ha già interiorizzato, finendo con confinarlo in un mondo costruito a sua immagine e somiglianza. Un mondo plasmato dal web che produce un inconveniente di non poco conto: “la riduzione della finestra da cui osserviamo” e dunque una “modificazione degli stessi presupposti del pluralismo e della discussione pubblica”. Inevitabile, dunque, misurarsi con la “fabbrica del falso”, con la presenza degli “ingegneri del caos”, con il fenomeno della “postverità”, non “qualcosa che viene dopo”, ma “ciò che mina l’idea che alcune cose sono vere a prescindere da come ci sentiamo nei loro confronti e che è nel nostro interesse cercare di conoscere”. Un fenomeno che investe e muta la qualità della politica, essendo venuto meno, nella “bolla”, il criterio comune di distinzione del vero dal falso.

Ricorso al negazionismo scientifico – ad esempio i danni provocati dal fumo, ma a buona ragione potremmo citare le uscite di Salvini a proposito del coronavirus o le affabulazioni dei no vax –, critica filosofica dei “pensieri forti” – la postverità come categoria “capace di identificare l’atomismo di milioni di persone convinte di avere ragione non insieme (come credevano, sbagliando, le chiese ideologiche del secolo scorso), ma da sole o meglio col solo riscontro del web-, narcisismo e  soggettivismo diffuso quanto all’interpretazione della realtà, prevalenza dell’opinione sulla conoscenza, dei sentimenti sui fatti, manipolazione delle informazioni a scopo di consenso elettorale, intervento di potenze straniere per destabilizzare le democrazie occidentali, successo del postmodernismo , trovano indubbiamente fertile terreno in uno scenario comunicativo popolato da “sciami digitali” che vede la politica virtuale prevalere su quella reale e l’opinione pubblica diventare sempre di più  opinione digitale.


Palano suggerisce di affrontare la questione della postverità più propriamente nel contesto del cambiamento dello scenario comunicativo che stiamo vivendo. L’attenzione va rivolta al mutamento delle relazioni tra cittadini e informazione. Sotto questo profilo l’importanza dei social network non è semplicemente un dato statistico, ma “risiede nel fatto che essi producono un impatto diretto sui meccanismi di costruzione e condivisione della realtà sociale, della nostra identità”, sino a creare “un nuovo spazio sociale ibrido – l’interrealtà – che mescola il mondo digitale con quello fisico”: uno spazio in cui i social si configurano come “tecnologie di comunità in grado di sostituire le comunità fisiche o di contrapporsi ad esse”. Un ulteriore aspetto consiste nella personalizzazione del flusso comunicativo cui il singolo si trova esposto in una progressiva dissolvenza dello spazio comune in cui sino a poco tempo fa si collocava il pubblico, in un processo di frammentazione caratterizzato da una molteplicità di segmenti sostanzialmente autonomi, da una miriade di “bolle”.

La sottolineatura della presenza invasiva degli sciami digitali nel loro rapporto con la fragilità delle democrazie contemporanee, con la loro turbolenza, depone per un parallelo con il ritratto della folla delineato dagli scrittori di fine Ottocento e, in particolare da Gustave Le Bon, naturalmente in un contesto assai diverso da quello contemporaneo in cui – Palano cita in proposito il filosofo di origine coreana Byung Chu An – la nuova folla sarebbe in realtà uno sciame digitale al quale viene preclusa la stessa possibilità di dare forma a un “Noi”. Un contesto propiziatorio di quella “democrazia recitativa, fortemente personalizzata” in cui – come scrive Emilio Gentile- la politica diventa “l’arte del capo che in nome del popolo muta i cittadini in una folla beota e servile”. Oggi la mobilitazione politica della “folla” è soprattutto emozionale, parcellizzata, “solitaria” e le masse organizzate un tempo raccolte attorno a bandiere ideologiche e politiche si sono destrutturate.

La massa compatta, disciplinata nei grandi partiti, spesso irreggimentata in Stati autoritari e fonte di consenso per quelli totalitari, come corpo solido e  unificato dalla dedizione ad una bandiera, da una fede incrollabile, dalla sequela  di un leader si è da tempo dissolta con la conclusione del “secolo breve” nel corso del quale già è possibile riconoscere uno spostamento progressivo dalla centralità delle masse a quella del pubblico: una platea di individui che, dopo il secondo conflitto mondiale, con il graduale ingresso del piccolo schermo nelle case, pur essendo fisicamente separati, si trovavano esposti al medesimo flusso di comunicazione e alla stessa immagine del mondo reale. Una trasformazione comunicativa che, in parallelo ai mutamenti sociali e alla diffusione del benessere economico, determina una modificazione del rapporto tra cittadini e politica, intaccando il tradizionale profilo del partito “organizzatore delle masse”.  Palano dedica pagine assai penetranti ai nessi tra media, evoluzione della società, politica, strutturazione organizzativa dei partiti: da quelli di integrazione di massa dotati di un proprio apparato comunicativo, alle formazioni professionali-elettorali che si avvalgono di consulenti e tecnici esperti , sino alle campagne elettorali post moderne affidate da partiti “cartelizzati” o ormai liquidi  a gruppi ristretti specializzati in marketing politico e sintonizzati sulle tecnologie più avanzate, in grado di intercettare un pubblico sempre più disallineato nelle sue scelte partitiche.  Lo stesso pubblico come forma di collettività resa possibile dalla diffusione della stampa e costituita in correnti d’opinione, poi, con il nuovo medium televisivo, trasformatasi in audience, va incontro a processi di frammentazione e di segmentazione.

Con riferimento a Bernard Manin e ai suoi noti “Principi del governo rappresentativo” dove si tematizza il passaggio dal parlamentarismo alla democrazia dei partiti, sino alla democrazia del pubblico in cui gli elettori tendono ad assomigliare al pubblico di uno spettacolo lungo una torsione tendenzialmente pubblicitaria in una permanente campagna elettorale, Palano, propone l’idea di una “democrazia delle bolle” in cui “ l’audience generalista si frammenta”  e in cui è possibile riconoscere quell’autoreferenzialità che tende a contrassegnare i segmenti in cui si divide il pubblico.  Un processo che induce lo stesso Manin, in un intervento del 2014, allorché i social media diventano uno strumento formidabile a disposizione delle formazioni populiste, a riconoscere che “la frammentazione dell’offerta comunicativa” determina un contesto differente da quello in cui “la democrazia del pubblico aveva isolato i tratti costitutivi”. Come annota lo studioso marsigliese “in larga misura, anche se non totalmente […] non vi è più un unico pubblico, ma vi sono dei segmenti di pubblico, ciascuno relativamente omogeneo e non comunicante con gli altri segmenti”. Non ancora una compiuta “democrazia delle bolle”, ma, come teorizza Ivo Diamanti, una “democrazia ibrida”, collocata fra passato e futuro in una comunicazione che viene scavalcando i confini tra Rete, Tv e giornali. Una democrazia che lascia intravedere nuovi assetti rispetto ai quali Palano affonda la sua analisi nel tentativo di cogliere, in chiave idealtipica weberiana, la logica di fondo che caratterizza i fenomeni contemporanei. Il dato nuovo è costituito infatti non solo dalla presenza di una pluralità di pubblici bensì “di una pluralità di attori nella condizione di attivare o partecipare a discussioni pubbliche”.


In questo quadro gli algoritmi consentono di creare attorno a ciascun cittadino – utente una bolla che filtra e indirizza tutte le informazioni, una bolla in cui ciascuno è solo, con una raffigurazione del mondo costruita su misura, con una disposizione “involontaria”, sempre più personalizzata, atomizzata, irrelata. “Seguendo la strada che ci indicano gli algoritmi, senza rendercene conto perdiamo di vista il paesaggio, le strade alternative, i percorsi poco frequentati” con effetti distorsivi che, in presenza di variabili inaspettate, riducono la creatività di ciascuno favorendo il conformismo delle scelte. Il dibattito pubblico si complica e si contorce perché con la moltiplicazione dei messaggi è sempre più difficile stabilire chi ha detto cosa a chi in quanto finiamo col chiuderci in una “eco camera” in cui, interagendo con gli “amici”, sentiamo risuonare sempre le stesse parole d’ordine. Un fenomeno di tribalizzazione che produce, con l’immagazzinamento informatico delle conoscenze, perdita di memoria e “rimitizzazione del mondo”. Insomma, la genesi del “gentismo”. Sul piano politico con il declino dei partiti e della loro funzione mediatoria, con la progressiva irrilevanza della televisione generalista che ha svolto comunque un ruolo di composizione nella democrazia del pubblico, la Rete si rivela uno strumento atto ad alimentare contrapposizioni, a rafforzare meccanismi di polarizzazione, a produrre deconsolidamento democratico, grazie alle potenzialità di disintermediazione di cui dispone.

Sulla scorta delle teorizzazioni di Yascha Mounk e di Moisés Naim, Palano coglie aspetti di significativo rilievo. Da un lato, per effetto della disintermediazione il vantaggio tecnologico su cui possono contare le élites politiche si dissolve a favore di outsiders che guadagnano possibilità di affermazione; dall’altro lato si assiste ad una progressiva dispersione del potere in “micropoteri” in grado di insidiare la posizione delle grandi organizzazioni. In questo accorciamento dello spazio tra “alto” e “basso” si moltiplicano le reti fiduciarie, si amplia la forza corrosiva della critica alle istituzioni, si orizzontalizza l’affidabilità delle notizie, si accentua, sino al livore, la disistima nei confronti della classe e delle istituzioni politiche. Non solo disillusione o apatia, ma una spinta alla polarizzazione retta su messaggi radicali e tendenzialmente personalizzati. Nella logica centrifuga della “bubble democracy” – questa la conclusione – “il modo per conquistare la maggioranza non è più di convergere verso il centro, ma di sommare gli estremisti”. Con un’ulteriore evoluzione della forma partito, sino al partito -nuvola digitale e al partito – piattaforma: sotto un primo profilo “un’affiliazione del partito leggero della stagione della democrazia del pubblico perché privo di un apparato burocratico” e, sotto un secondo profilo, con elementi in comune col vecchio partito di massa in quanto abilitato alla mobilitazione di aderenti e simpatizzanti per il tramite di “una comunicazione aggressiva e capillare”. Insieme nuvola, startup e forum. A conclusione del suo itinerario di ricerca Palano, dopo aver messo in guardia, sulle tracce di Giovanni Sartori dai pericoli della “tirannia psicagogica” e, dopo aver sottolineato la gravità della “demopatia” che colpisce i cittadini delle democrazie occidentali, si interroga su ruolo che unitamente ad altri fattori, i mutamenti comunicativi assumono quanto alle tensioni dalle quali oggi sono investiti i sistemi democratici occidentali. La previsione è di un prossimo futuro sempre più popolato da echo chambers e sciami digitali in cui il pubblico sembra dissolversi in una molteplicità di “bolle”. Dunque, uno scenario inquietante “destinato a diventare presto ancor più realistico”.

Paolo Corsini

 

Questa recensione al volume di Damiano Palano, Bubble Democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione (Scholé-Morcelliana), è apparsa sulla rivista«ItalianiEuropei» (n. 5, 2020).

 

 

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