sabato 24 ottobre 2020

Una critica alla democrazia diretta. Un pamphlet di Francesco Pallante contro la disintermediazione



di Damiano Palano

Alla fine degli anni Venti, e senza nessun entusiasmo, Carl Schmitt previde che in un futuro lontano ogni elettore avrebbe potuto esprimere il proprio orientamento sulle questioni politiche senza lasciare la propria abitazione, mediante un apparecchio tecnologico, e che tutte le opinioni sarebbero state «automaticamente registrate da una centrale». Quell’«apparecchio» è oggi divenuto una realtà. Ben pochi Stati hanno iniziato però a sperimentare meccanismi di i-democracy (una democrazia via internet), anche perché simili strumenti non sono ancora in grado di assicurare la piena segretezza del voto. Ciò nondimeno, le nuove tecnologie indeboliscono una delle più solide obiezioni indirizzate alla democrazia diretta, relativa alla difficoltà di riunire tutti i cittadini in un unico luogo, per consentire loro di esprimersi ‘direttamente’. 


Ma la possibilità ‘tecnica’ di realizzare consultazioni via internet non supera comunque altre grandi obiezioni, che in larga parte sono riformulate e aggiornate da Francesco Pallante in Contro la democrazia diretta (Einaudi, pp. 132, euro 12.00), una severa requisitoria contro le illusioni di tutte le proposte volte a superare la rappresentanza politica. La critica viene condotta a più livelli e non si limita a considerare i limiti degli strumenti che di solito vengono ritenuti espressione della democrazia diretta (il referendum, l’iniziativa legislativa popolare, il recall, le elezioni primarie).Il discorso di Pallante punta infatti soprattutto a indagare le radici ‘culturali’ del discredito che negli ultimi decenni ha colpito la democrazia rappresentativa: radici che affondano soprattutto in un individualismo esasperato, alla base tanto della critica ai partiti quanto del mito della «disintermediazione» e dunque dello smantellamento dei corpi intermedi. In una concezione in cui diventa politicamente sovrano l’individuo, con le sue preferenze e le sue scelte, i corpi intermedi non possono che diventare superflui, così come quella pluralità di «formazioni» in cui – secondo il dettato costituzionale – si articola la vita della società. Difendendo la concezione classica della democrazia rappresentativa, osserva però Pallante «l’affermazione della sovranità individuale conduce alla disgregazione della collettività in una moltitudine di soggetti isolati e abbandonati a se stessi». Un simile individuo atomizzato non può avere alcun reale peso democratico, perché, come scriveva Hans Kelsen, la democrazia può esistere «soltanto se gli individui si raggruppano secondo le loro affinità politiche, allo scopo di indirizzare la volontà generale verso i loro fini politici». Anche se nei prossimi anni – in un mondo affollato di smart workers e videoconferenze – molte voci torneranno a richiedere che i cittadini possano riunirsi in un’agorà virtuale, la soluzione del ‘direttismo’ è destinata dunque a rimanere solo un’illusione. E per Pallante resterà allora valido anche il vecchio ammonimento di Norberto Bobbio, secondo cui «nulla uccide la democrazia più che l’eccesso di democrazia».

Damiano Palano








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