Il Movimento 5 Stelle
Il referendum costituzionale è un “giro di boa” per i pentastellati perché il favore degli elettori verso il taglio dei parlamentari non può nascondere le enormi difficoltà che questa formazione politica sperimenta (certo non da oggi). L’abbandono dei territori, l’incapacità di incidere sulle elezioni locali e regionali, il logoramento dovuto all’esperienza di governo, l’eclatante contrasto tra la retorica delle origini e la realtà di un ceto parlamentare adeguatosi molto presto ai rituali (e ai “privilegi”) del potere, l’abbandono di pressoché tutte le battaglie che avevano segnato la nascita del Movimento sono anzi elementi che rendono il “giro di boa” molto simile a un finale di partita, o quantomeno al suo preludio. Tutte queste criticità non sono d’altronde elementi congiunturali, perché hanno a che vedere con la stessa fisionomia originaria dei 5 Stelle. Un partito post-ideologico non può infatti contare su quelle risorse identitarie cui, anche nei momenti critici, possono affidarsi i partiti ideologici e subculturali. E la retorica anti-politica, anti-casta, anti-establishment è una risorsa davvero troppo friabile, oltre che un’arma di cui nuovi sfidanti possono agevolmente impossessarsi.
Il Pd di Zingaretti
La tornata del 20 e 21 settembre può essere però considerata come un giro di boa anche per Pd e Lega. Per il partito di Zingaretti, il risultato in Toscana e in Puglia non può occultare né l’assenza di una nitida proposta politica sul futuro del Paese né la portata di una conflittualità interna ereditata da una storia che, dal 2007, non è riuscita a creare una vera identità politica. E questi problemi – che nascono da lontano – saranno nei prossimi mesi enfatizzati dalla necessità improrogabile di chiarire la natura del rapporto con il Movimento 5 Stelle e con Giuseppe Conte.
La Lega di Salvini
Per la Lega la sconfitta in Toscana non può essere davvero considerata un fallimento, ma certo questo risultato – dopo quello emiliano di nove mesi fa – contribuisce a dare l’impressione che la leadership di Matteo Salvini abbia ormai esaurito la propria spinta propulsiva. Il successo di Luca Zaia in Veneto può rappresentare una spina nel fianco per il progetto di Salvini, ma non semplicemente perché la sua leadership potrebbe essere messa a rischio da un ingombrante sfidante. Piuttosto, è probabile che il presidente veneto torni a battere su quella frattura centro/periferia (e Nord/Sud) che fu cruciale per la nascita delle leghe regionali trent’anni fa, ma che è pressoché scomparsa dall’orizzonte retorico e politico di Salvini.
Nella fine un nuovo inizio
Tutte le forze politiche sono ben consapevoli del fatto che il referendum del 20 e 21 settembre abbia chiuso una stagione. E anche per questo nei prossimi mesi la discussione interna ai vari soggetti si farà piuttosto accesa, con inevitabili ricadute sulle ipotesi di riforma elettorale (tutt’altro che secondaria per gli esiti delle contrattazioni su alleanze, coalizioni, scissioni e nuove formazioni). Ma la sensazione è che le soluzioni “ingegneristiche” – grazie alle quali costruire ipotetiche maggioranze sommando “pezzi” di elettorato e frammenti di ceto politico – siano destinate ad avere ben poca fortuna (come d’altronde è avvenuto nel passato). Non è infatti da escludere che il “giro di boa” possa coincidere con anche con l’inizio di una nuova fase di fluidità politica.
Chi riempirà il vuoto?
Per molti versi, si può cioè ipotizzare che oggi si concluda davvero la parabola iniziata nel 2011, con la caduta del governo Berlusconi e la crisi del debito sovrano. Allora, milioni di elettori, abbandonando i partiti cui si erano (sempre più debolmente) legati nella “Seconda Repubblica”, iniziarono a dirigersi verso nuove proposte politiche, che sono diventate le protagoniste dell’“ondata populista”. La parabola del Movimento 5 Stelle sembra così quasi il paradigma della sorte dei “micropoteri” contemporanei: poteri in grado di logorare la reputazione dei “grandi” attori, eppure incapaci di difendere la posizione conquistata, di consolidare il consenso, di erigere barriere contro nuovi sfidanti. La parabola pentastellata ha già imboccato da tempo la fase discendente, anche se non sappiamo quanto durerà e come si concluderà. Ciò nondimeno, è davvero probabile che nello spazio politico italiano si stia nuovamente ricreando un “vuoto” analogo a quello del 2011. Se allora fu la crisi economica a innescarlo, oggi è naturalmente la pandemia – con i suoi ritmi e le sue dinamiche – ad accelerare e a indirizzare il processo. Chi riempirà il “vuoto”, e con quali proposte, è una domanda a cui solo i prossimi mesi potranno rispondere. E naturalmente sarà importante capire se conquisteranno un peso quelle forze “centriste” che fino a questo momento non hanno inciso in modo rilevante, anche per la loro frammentazione.
Una nuova stagione di turbolenza
Se una fase dell’ondata populista si è forse conclusa, è comunque probabile che i nuovi potenziali protagonisti non rinuncino all’armamentario retorico “populista”. Anche perché – benché spesso siamo resistenti a riconoscerlo – la concezione “populista” della democrazia è entrata ormai nel nostro Dna di cittadini postmoderni, critici, disincantanti. La vera domanda è piuttosto quali saranno le linee di contrapposizione su cui punteranno coloro che cercheranno di occupare il “vuoto”, agitando il cocktail di delusione, risentimento e paura. È prematuro fare previsioni. Ma l’esperienza globale del Covid-19 potrebbe essere uno spartiacque anche da questo punto di vista. Il populismo degli anni Venti potrebbe davvero mostrarsi come sensibilmente diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi dieci anni. E il “giro di boa” potrebbe allora dare inizio a una nuova stagione di turbolenza per la politica italiana.
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