lunedì 4 gennaio 2021

L’ordine liberale è in crisi, ma non ha alternative. Un libro di Sonia Lucarelli sulle sfide del sistema internazionale




di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Sonia Lucarelli, Cala il sipario sull’ordine liberale? Crisi di un sistema che ha cambiato il mondo, recentemente pubblicato da Vita e Pensiero (pp. 284, euro 25.00), nella collana dell'Alta Scuola di Ecnomia e Relazioni Internazionali - Aseri, diretta da Vittorio Emanuele Parsi, è apparsa sul quotidiano "Avvenire" il 19 giugno 2020.


«Ciò che cerchiamo è il regno della legge, basato sul consenso dei governati e sostenuto dall’opinione organizzata dell’umanità», affermò Woodrow Wilson nel luglio 1918, illustrando i principi che dovevano guidare la ricostruzione dell’ordine postbellico. Quando aveva spinto gli Stati Uniti a entrare nella Prima guerra mondiale, il presidente americano aveva infatti chiarito che il suo obiettivo era una «pace senza vittoria». Si doveva cioè puntare a costruire istituzioni sovranazionali capaci di impedire nuovi conflitti, e i perni del nuovo ordine dovevano essere l’apertura degli scambi e l’auto-determinazione nazionale, mentre un’organizzazione sovranazionale avrebbe sanzionato il ricorso alla violenza da parte degli Stati. Per molti motivi convergenti la Società delle Nazioni, nata proprio dalla visione di Wilson (ma rimasta ben presto priva del sostegno americano), si rivelò largamente inefficace. E il fragile ordine liberale finì così per essere travolto dalla chiusura economica e dalla formazione di blocchi antagonisti. Ma quando vent’anni dopo tornarono in guerra, questa volta per opporsi alle potenze dell’Asse, gli Stati Uniti ripresero il vecchio progetto, seppur rivisto grazie a un’iniezione di realismo. Anche il nuovo ordine internazionale liberale delineato a Bretton Woods avrebbe infatti puntato a promuovere un’economia aperta. A differenza di quello profilato da Wilson, si sarebbe però poggiato sul ruolo di guida di Washington e avrebbe coinvolto soprattutto i paesi occidentali.

Dopo la fine della Guerra fredda, l’ordine internazionale liberale si è esteso all’intero pianeta, trasformando gli Stati Uniti in un egemone globale all’apparenza privo di rivali. Anche per questo, durante il lungo «momento unipolare», l’egemonia di Washinton è apparsa a molti osservatori come una sorta di impero dai connotati inediti. A partire dalla crisi economica del 2008 il dibattito politologico ha iniziato invece a riconoscere i segnali di una rapida erosione del vecchio ordine, anche se la discussione sulle origini della crisi è andata in direzioni piuttosto differenti, come d’altronde le previsioni sulle tendenze future. E, come è facile immaginare, le ripercussioni politiche della pandemia sono destinate a rendere il dibattito sul futuro delle istituzioni internazionali ben più che un’esercitazione accademica. Un’ottima introduzione a questa discussione è proposta dal libro di Sonia Lucarelli Cala il sipario sull’ordine liberale? Crisi di un sistema che ha cambiato il mondo (Vita e Pensiero, pp. 284, euro 25.00), dedicato a una ricostruzione articolata delle molteplici linee di tensione che vengono oggi a sfidare l’assetto nato dopo la fine della Seconda guerra mondiale. A innescare una spinta alla trasformazione è naturalmente anche la fine del «momento unipolare», ossia l’ascesa sulla scena di nuove potenze. E in questo senso è il ruolo della Cina a rappresentare la principale incognita, anche perché il gigante asiatico è stato in grado di sfruttare le opportunità offerte da un sistema di scambi aperti, senza però avviare al proprio interno alcun processo di liberalizzazione politica. Ma la politologa pone l’attenzione soprattutto su alcune sfide che nascono dall’interno delle democrazie occidentali. La prima è rappresentata innanzitutto dall’impatto sociale della globalizzazione, che ha aumentato le diseguaglianze ed eroso il ruolo dei corpi intermedi, creando il cocktail alla base della fortuna dei populismi. In secondo luogo, sono le ricadute della stessa rivoluzione digitale – sulle soggettività dei cittadini, sugli strumenti di controllo e manipolazione, sulla frammentazione dello spazio pubblico – a spiazzare le consolidate modalità della governance globale. Infine, le aspirazioni universalistiche dell’ordine liberale vengono a collidere con un ritorno dei particolarismi che scaturisce tanto dalla diversità culturale interna alle democrazie liberali, quanto dal peso crescente di Stati non occidentali. L’ordine liberale, per l’effetto combinato di tali pressioni, non solo si trova dunque a mostrare sempre più spesso la propria inadeguatezza ad affrontare e gestire le sfide globali. Ma è anche contemporaneamente delegittimato, tanto da quei leader populisti che – a partire da Donald Trump – contestano la prospettiva ‘globalista’ in nome delle appartenenze nazionali, quanto da una società civile transnazionale disillusa e impaurita. E da tutte quelle forze che, nella chiusura dei confini non solo ai flussi economici, vedono un antidoto agli effetti deteriori della globalizzazione.

Non è certo sorprendente che, sotto la pressione degli eventi, sia riemersa in questi mesi la grande domanda sulla possibilità di giungere a un «governo mondiale», su cui si interrogarono grandi intellettuali come Jacques Maritain e Hans Kelsen. Per le sue dimensioni, per la sua velocità di diffusione e per la consapevolezza del problema, la pandemia ci ha infatti posto dinanzi a una crisi che coinvolge l’intera umanità. E ha mostrato ancora più chiaramente la fragilità delle istituzioni sovranazionali esistenti. Benché l’ordine liberale non sia affatto esente da limiti, secondo la politologa non esistono alternative migliori. Per i suoi principi e la sua flessibilità rimane infatti l’unico assetto che possa consentire di far convivere uguaglianza, sicurezza e libertà, oltre che democrazia e mercato. Pur dinanzi a una serie di nuove sfide, la vecchia visione wilsoniana di un «regno della legge, basato sul consenso dei governati e sostenuto dall’opinione organizzata dell’umanità» non perderebbe il proprio valore. E il momento per far calare il sipario non sarebbe dunque ancora arrivato. Anche se, come scrive Lucarelli, «trama, ruoli, musiche e attori vanno ripensati a fondo perché lo spettacolo possa continuare». 


Damiano Palano

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