lunedì 14 ottobre 2019

Jaspers e il viaggio incompiuto dell’Europa, "Lo spirito europeo" in un volumetto curato da Roberto Celada Ballanti



di Damiano Palano

Che cosa è l’Europa? E cosa significa essere europei? Ce lo siamo chiesti molte volte in questi anni, dinanzi alle difficoltà sperimentate dall’Ue. E a queste domande abbiamo fornito domande talvolta retoriche, in altri casi più solide. Ma molti anni fa, mentre l’Europa bruciava nell’incendio delle guerre mondiali, questi stessi interrogativi furono al centro anche delle riflessioni di molti dei più lucidi intellettuali del Vecchio continente, come Simmel, Weber, Husserl, Heidegger, Weil e Zambrano. Nel solco di questa discussione si inserisce anche il saggio di Karl Jaspers, Lo spirito europeo (Morcelliana, pp. 75, pp. 9.00), proposto ora in un volumetto curato da Roberto Celada Ballanti, ma originariamente apparso nel 1947, insieme ad altre conferenze tenute a Ginevra da importanti pensatori, tra cui Benda, Bernanos, de Rougemont e Lukáks. Leggendo più di settant’anni dopo il saggio di Jaspers, non si può non essere colpiti dalla lucidità con cui il filosofo tedesco coglieva già allora la necessità di ripensare l’eredità di un’Europa che non sarebbe più stata il ‘centro del mondo’. Anche per questo, il Vecchio continente non era riducibile per Jaspers al suo territorio, a una dimensione puramente geografica, alla sua identità o a un momento specifico della sua vicenda storica. Ai suoi occhi, l’Europa era soprattutto un progetto fatalmente incompiuto, un moto di scoperta, una proiezione oltre sé, che poggiava su tre pilastri: la libertà, come superamento dell’arbitrio e come necessità del vero; la coscienza della storia, perché la storia è la dimensione in cui la libertà può essere conquistata e sperimentata; la scienza, come «incondizionata e universale volontà di conoscere quanto è conoscibile». Ed erano proprio questi tratti a indicare la strutturale «incompiutezza» dell’Europa.

Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa si era improvvisamente dimostrata «piccola», dinanzi alle nuove potenze. E dunque anche l’ipotesi di una politica di potenza europea era di fatto impensabile, se non inserita all’interno di un ordine mondiale capace di garantire la pace a tutti. Una simile opzione avrebbe però richiesto ai singoli Stati una rinuncia volontaria alle loro aspettative sovrane. E proprio l’Europa si trovava nelle condizioni per «attuare per prima questa rinuncia, nella modestia della sottomissione alla ragione del dialogo tra tutti». Per raggiungere un simile ordine mondiale si sarebbero dovute produrre due trasformazioni: la «purificazione della politica», cioè l’annullamento del fanatismo, e il «disincantamento della storia degli Stati», che avrebbe implicato l’abbandono dei miti della politica di potenza e del nazionalismo. Affidarsi al fondamento dell’origine occidentale implicava d’altronde anche agire per compiere una grande trasformazione, nella quale però l’Europa stessa non poteva rimanere l’ultima istanza, il definitivo punto di approdo. Perché – scriveva Jaspers, chiudendo la conferenza - «diventiamo europei a condizione di diventare uomini in senso proprio, cioè uomini a partire dalla profondità dell’origine e del fine, che si trovano entrambi in Dio». 

Damiano Palano

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