giovedì 26 ottobre 2017

La democrazia divisa nell’era delle bolle. Un libro di Cass Sunstein




di Damiano Palano


Questa recensione al volume di Cass R. Sunstein, #Republic. La democrazia nell’epoca dei social media (Il Mulino, pp. 344), è apparsa su "Avvenire" il 24 ottobre 2017. 


Sono passati quasi settant’anni da quando George Orwell iniziò a scrivere 1984, ma il romanzo dell’intellettuale britannico non cessa di entusiasmare sempre nuovi lettori. La nostra idea del totalitarismo sarebbe d’altronde diversa senza le straordinarie invenzioni letterarie della «neolingua» e del «bis-pensiero». E persino la nostra concezione della pervasività del potere non sarebbe la stessa se il romanzo di Orwell non fosse stato dominato dall’occhio onnipresente del Grande Fratello. Benché sia tornata in testa alle preferenze dei lettori anche grazie alla discussione su «post-verità» e fake news, la più celebre distopia novecentesca non è però probabilmente adeguata a cogliere le trasformazioni che stanno investendo i nostri sistemi politici. O almeno questa è l’opinione sostenuta da Cass R. Sunstein, nel suo ultimo libro #Republic. La democrazia nell’epoca dei social media (Il Mulino, pp. 344). Docente di Diritto alla Harvard Law School, Sunstein ha ricoperto diversi incarichi durante l’amministrazione Obama ed è noto soprattutto per le sue proposte sulle strategie del «paternalismo libertario», sviluppate per esempio in Nudge (Feltrinelli), oltre che per Il mondo secondo Star Wars (Università Bocconi Editore). Negli ultimi anni Sunstein si è però dedicato in modo approfondito anche ai mutamenti del contesto comunicativo. Ed è proprio in questo filone che si colloca #Republic, un libro che coglie nella rivoluzione innescata dai social media una minaccia per le basi su cui si reggono le nostre democrazie. La minaccia, sostiene Sunstein, non viene infatti dall’emergere di un nuovo Grande Fratello e non assomiglia neppure alla forzata spensieratezza consumista prefigurata da Aldous Huxley nel Brave New World. I rischi provengono piuttosto dal potere della personalizzazione, dalla chiusura in micro-comunità sempre più impermeabili, dall’isolamento nei bozzoli informativi che crescono giorno dopo giorno intorno a ognuno di noi.

Nel 1995 Nicholas Negroponte profetizzò l’imminente nascita del «Daily Me», una specie di quotidiano confezionato per ciascun singolo individuo sulla base dei suoi gusti, dei suoi interessi, dei suoi orientamenti. Naturalmente il «Daily Me» non è mai nato. Ma la diffusione dei social media non produce effetti molto diversi. Innanzitutto, ciascun individuo ha sempre più potere di selezionare ciò che vuole vedere, per esempio quando, utilizzando Facebook, decide di leggere i post e le notizie segnalategli da qualche «amico» (e tralascia invece altri link). In secondo luogo, gli algoritmi adottati da Facebook e Google filtrano ulteriormente i flussi informativi, sulla base dei gusti del singolo (ricostruiti sulla base delle sue scelte precedenti). I diversi filtri che selezionano le informazioni provenienti dal mondo reale chiudono così ciascuno di noi sempre più dentro una bolla ‘personalizzata’, in cui tutte le notizie e le opinioni vanno di fatto nella stessa direzione e confermano le nostre posizioni consolidate. Dentro la cassa di risonanza in cui ci troviamo rinchiusi, le nostre opinioni escono inoltre fatalmente rafforzate. E sul terreno strettamente politico tutto questo favorisce, secondo Sunstein, la diffusione di posizioni sempre più estreme, persino violente, che possono diventare potenzialmente pericolose.

A giocare un ruolo rilevante secondo Sunstein sono innanzitutto le cyber-cascate, che favoriscono la diffusione sia di opinioni fondate su fatti accertati, sia di dicerie e fake news. In secondo luogo, i bozzoli informativi costruiti dai social media e dal filtro degli algoritmi rafforzano la tendenza alla polarizzazione che opera sempre all’interno di gruppi omogenei. In terzo luogo, negli scambi comunicativi è sempre all’opera ciò che gli psicologi definiscono la biased assimilation, ossia una sorta di pregiudizio che ci induce inconsapevolmente a filtrare le informazioni sulla base delle nostre convinzioni di partenza. In altre parole, come dimostrano molti esperimenti, anche se leggiamo post, articoli e libri che sostengono tesi diverse a proposito di uno stesso problema (per esempio l’utilità e i rischi dei vaccini o le cause del riscaldamento globale), quasi invariabilmente ‘filtriamo’ tra tutte queste argomentazioni solo quelle che confermano la nostra convinzione di partenza. E ciò significa che anche la dimostrazione più convincente dell’infondatezza di una fake news può rivelarsi inutile. Meccanismi di questo genere ovviamente hanno sempre caratterizzato la diffusione delle opinioni. Ma l’omofilia agevolata dai social media – e cioè la tendenza a entrare in comunicazione prevalentemente con individui simili a noi (per orientamenti politici, gusti musicali, preferenze gastronomiche e altro) – innesca le cyber-cascate e accelera la spinta alla polarizzazione.

Un’opinione fortemente polarizzata e un sistema comunicativo frammentato non possono che favorire la paralisi politica e mettere in pericolo l’edificio democratico. Un’opinione pubblica frammentata, la polarizzazione e l’estremismo rendono infatti sempre più difficile il dialogo tra le forze politiche, tanto che diventa quasi impossibile affrontare molte questioni fondamentali. Per scongiurare questi rischi, Sunstein indica alcune soluzioni che potrebbero arginare la frammentazione dei sistemi informativi. Per esempio sostiene la necessità di reintrodurre un margine di ‘casualità’ nel tipo di informazione in cui un individuo può imbattersi. E auspica il rafforzamento di quelle esperienze comuni capaci di coinvolgere l’intera comunità e dunque di rompere le «bolle» costruite dai filtri che ci circondano. Benché Sunstein si voglia tenere ben lontano dal pessimismo e dalla nostalgia di un passato mitizzato, è però evidente che simili rimedi finiscono con l’apparire piuttosto ingenui. Se davvero, come è probabile, l’ambiente mediale procede nella direzione indicata da Sunstein, queste soluzioni non sembrano infatti neppure poter scalfire la scorza più superficiale dei bozzoli informativi. Proprio per questo l’avvento della bubble democracy – che per molti versi è già una realtà – richiede l’invenzione di ben altri strumenti. E forse anche una buona dose di immaginazione politica.

Damiano Palano


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