lunedì 17 luglio 2017

La democrazia? L’arte di deliberare. E quindi di mediare. Un libro di Antonio Floridia




di Damiano Palano

Questa recensione al libro di A. Floridia, Un’idea deliberativa della democrazia. Genealogia e principi (Il Mulino, Bologna, 2017), è apparsa su «Avvenire» il 7 luglio 2017.

Nel 1975 tre importanti scienziati sociali come Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki prepararono per la Commissione Trilaterale un rapporto destinato a segnare un’epoca. Il titolo della relazione – La crisi della democrazia – lasciava pochi dubbi su quale fosse la diagnosi sullo stato di salute dei paesi industrializzati. Fra i motivi della «crisi» i tre studiosi consideravano una molteplicità di fattori, ma sottolineavano soprattutto le implicazioni negative della crescita della partecipazione e della diffusione di aspettative sempre più elevate tra i cittadini. Il «sovraccarico» di richieste indirizzate verso il sistema politico metteva infatti a rischio la sopravvivenza delle istituzioni liberal-democratiche. Per questo era necessario introdurre misure capaci di ridurre le pressioni provenienti dalla società e, al tempo stesso, di rafforzare la capacità decisionale degli esecutivi. Il modello istituzionale che il rapporto alla Trilaterale suggeriva era così quello di una forte democrazia ‘governante’, un modello definito spesso (un po’ impropriamente) ‘decisionista’, che assegna ai cittadini solo il compito di scegliere il governo mediante la competizione elettorale. E che tende spesso a considerare come intralci all’esercizio dell’attività di governo le lunghe discussioni parlamentari, i negoziati tra le parti, le pratiche concertative, la ricerca di un ampio compromesso.


Una strada molto differente è invece percorsa dalla concezione deliberativa della democrazia, sviluppata da filosofi e politologi come Jürgen Habermas, John Rawls, Bernard Manin, Joshua Cohen e James Fishkin. Nel suo Un’idea deliberativa della democrazia. Genealogia e principi (il Mulino, pp. 385, euro 29.00), Antonio Floridia ricostruisce con grande precisione le diverse sequenze della discussione cresciuta negli ultimi trent’anni. Le origini più remote di questa concezione possono essere forse fatte risalire ad alcune pagine di James Madison, e qualche sollecitazione giunse inoltre anche dalle teorie partecipative degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Ma in realtà l’idea della democrazia come deliberazione si definisce piuttosto recentemente, al principio degli anni Ottanta, a partire da alcuni contributi di teorici come Jane Mansbridge e Benjamin Barber. Al di là delle origini intellettuali, che Floridia costruisce puntigliosamente, a contrassegnare questa concezione è soprattutto l’idea secondo cui la democrazia deve essere intesa come deliberazione: e cioè come una discussione volta a soppesare i pro e i contro delle soluzioni ai diversi problemi di una comunità. Una deliberazione pubblica è perciò uno scambio di ragioni e di argomenti: un dialogo inclusivo nel corso del quale le posizioni originarie dei partecipanti si modificano, consentendo di raggiungere soluzioni sostenute da un ampio consenso e fondate sulle conoscenze di una pluralità di attori.


Naturalmente non è sempre scontato che il dialogo debba produrre un’intesa, ma la logica deliberativa sostiene che, facendo a meno del confronto, ci si indirizzi fatalmente verso l’antagonismo distruttivo tra «amici» e «nemici». Proprio per questo la concezione deliberativa della democrazia si colloca agli antipodi rispetto non solo alle tentazioni ‘tecnocratiche’ e alle visioni ‘decisioniste’, ma anche alle celebrazioni – vecchie e nuove – della democrazia diretta. Una democrazia che affidi le decisioni a una ricca e argomentata discussione deve infatti fondarsi su una pluralità di soggetti (organizzazioni, partiti e reti associative) capaci di formare e strutturare un discorso pubblico, oltre che di essere a loro volta luoghi di partecipazione e deliberazione. E proprio per questo – come scrive Floridia riecheggiando Madison – la teoria deliberativa della democrazia può essere considerata anche come la più solida celebrazione dell’antica virtù della mediazione.

Damiano Palano

Qui la copia in pdf 







Nessun commento:

Posta un commento