venerdì 16 dicembre 2016

Bartolomé de Las Casas: Indigeno è uguale. Un libro di Luca Baccelli



di Damiano Palano


Questa recensione al libro di Luca Baccelli, Bartolomé de Las Casas. La conquista senza fondamento (Feltrinelli, pp. 282, euro 25.00), è apparsa su "Avvenire" il 16 dicembre 2016.

Nei manuali di storia del pensiero politico il nome di Bartolomé de Las Casas viene di solito ricordato solo fuggevolmente e al suo contributo – a differenza di quanto accade per grandi esponenti della scolastica spagnola come Francisco de Vitoria e Francisco Suarez – sono dedicate solo poche righe. La riflessione di Las Casas occupa invece un posto cruciale, che andrebbe finalmente riconosciuto. E un passo importante in questa direzione è rappresentato dal volume di Luca Baccelli, Bartolomé de Las Casas. La conquista senza fondamento (Feltrinelli, pp. 282, euro 25.00), che ricostruisce le sequenze di un’esperienza destinata a sfociare nella difesa degli «indiani» e in una spietata critica della colonizzazione del Nuovo Mondo.
Nato a Siviglia nel 1484, Las Casas giunse per la prima volta all’Hispaniola nel 1502, e già nel corso di questa prima spedizione ebbe modo di assistere alle atrocità perpetrate dagli spagnoli. Tornò però presto in Europa, dove fu ordinato presbitero e probabilmente conseguì una laurea in Diritto canonico a Salamanca. Quando nel 1509 approdò nuovamente all’Hispaniola erano già maturate le prime critiche alle violenze contro i nativi, e in particolare i domenicani presenti sull’isola avevano cominciato a sostenere che i coloni spagnoli vivevano in peccato mortale a causa della crudeltà con cui trattavano gli indigeni. Las Casas si avvicinò progressivamente a queste posizioni, ma un’autentica svolta avvenne mentre preparava l’omelia per la Pasqua del 1514. Da allora prese a predicare contro la tirannide e la schiavitù. Tornò in Castiglia per perorare la causa degli indigeni dinanzi all’anziano re Ferdinando. Ottenuta l’approvazione del proprio modello di colonizzazione, attraversò ancora una volta l’Atlantico, giungendo nel Nuovo Mondo con il titolo di «Protector universal de todos los indios de las Indias». Ma subito dovette scontarsi con le opposizioni dei coloni. A partire dal 1519, di fronte a una serie di fallimenti e nuovi massacri, interruppe l’attività pubblica. Per circa quindici anni si dedicò agli studi ed entrò nell’ordine domenicano. Più tardi riprese i vecchi progetti di colonizzazione pacifica, in particolare nella regione di «Vera Paz». Nominato nel 1543 vescovo del Chiapas, ebbe un ruolo determinante per la redazione delle Leyes nuevas, con cui i nativi venivano riconosciuti sudditi della corona di Spagna e si stabiliva l’eliminazione della schiavitù. In seguito le Leyes furono ridimensionate, e Las Casas si trovò così impegnato in nuove battaglie. E ancora pochi mesi prima di morire, nel 1566, inviò a papa Pio V una petizione in cui chiedeva un decreto che scomunicasse coloro che dichiaravano «giusta» la guerra contro gli indigeni.

L’originalità del contributo di Las Casas è legata soprattutto a un’idea dell’eguaglianza che (giungendo anche a rompere con Aristotele) esclude la schiavitù e richiede che ogni forma di potere si fondi sul consenso. Ma proprio il nodo della «guerra giusta» – allora al centro di infuocate discussioni – era fondamentale nella sua riflessione. A questo proposito Las Casas seguiva la critica che Vitoria aveva indirizzato a Sepùlveda, ma – come mostra efficacemente Baccelli – la radicalizzava ulteriormente. Anche Las Casas, come Vitoria, faceva infatti discendere i diritti dalla nozione aristotelica dell’uomo come «animale politico». Ma se Vitoria legittimava la presenza degli spagnoli in America, per Las Casas i nativi erano invece i signori naturali, che avevano diritto di opporsi all’occupazione dei loro territori. E dunque riconosceva anche alle comunità indigene la titolarità dello jus belli. Ma ciò nonostante, soprattutto in alcuni passaggi, anche la stessa nozione di «guerra giusta» era svuotata di ogni significato. Perché la guerra appariva ai suoi occhi solo come «multorum homicidium commune et latrocinium». E cioè solo come un omicidio di massa, senza alcuna possibile giustificazione.

Damiano Palano

Nessun commento:

Posta un commento