venerdì 2 dicembre 2011

Genealogia della canzone d'autore italiana. "Effetto Tenco" di Marco Santoro



di Damiano Palano

Questo testo riprende gli appunti stesi per l'incontro dal titolo "Immaginario, identità e produzione culturale: il caso della canzone d'autore", organizzato in occasione della presentazione del volume di Marco Santoro, Effetto Tenco. Genealogia della canzone d'autore (Il Mulino, Bologna, 2010). All'incontro, tenutosi a Milano presso l'Università Cattolica il 5 maggio 2010, parteciparono, oltre a Santoro, anche Fausto Colombo, Paolo Colombo, Gioachino Lanotte, Emanuela Mora. Una versione diversa di questo testo è apparsa, come recensione, nel fascicolo 3/2011 della rivista "Intersezioni".


Anche in Italia la canzone è diventata da tempo l’oggetto di indagini approfondite, che hanno ricercato nei cambiamenti della ‘musica leggera’ le tracce per ricostruire e comprendere le trasformazioni sociali e culturali. In questo senso, le principali strade seguite – che si affiancano a una copiosa letteratura prevalentemente giornalistica – sono soprattutto due: una prima direttrice si concentra sulle modificazioni della società e delle sue strutture, nel tentativo di capire come tali processi influiscano sul mondo musicale e i suoi protagonisti; la seconda cerca invece di ritrovare nella canzone, nei suoi testi, nelle sue modalità espressive, i documenti in grado di restituire, almeno in parte, la condizione ‘emotiva’ di un’epoca. Pur registrando gli effetti positivi di questo nuovo atteggiamento, il lavoro di Marco Santoro percorre invece una strada differente, perché sviluppa in modo originale le sollecitazioni provenienti dalla sociologia della cultura. Il saggio è focalizzato infatti sulla genesi della cosiddetta «canzone d’autore» e sulla nascita della figura del «cantautore». Con un simile obiettivo, Santoro esplora «il complesso di strategie discorsive e di pratiche materiali e simboliche attivate da attori sociali diversi in contesti sociali specifici per costruire quella canzone, quell’autore o quell’interprete come forme simboliche significanti, appropriarsene e utilizzarli nelle proprie vite quotidiane e professionali» (p. 23). E, più in particolare, ricostruisce l’«insieme dei processi sociali attraverso cui in Italia, grosso modo tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Ottanta, si è cercato di costruire (e legittimare) la canzone (o meglio un certo genere di canzone) come una forma di espressione artistica e di comunicazione relativamente autonoma, e una certa categoria di interpreti come più autentici, autorevoli e meritevoli di altri» (p. 23).
Nel lavoro di Santoro è possibile individuare idee che, pur provenienti da autori talvolta piuttosto lontani (anche sotto il profilo metodologico), vengono organizzate coerentemente in vista di un’indagine a più livelli. Fra queste, sono tre le nozioni teoriche che emergono con più forza: in primo luogo, l’ipotesi, formulata probabilmente con maggior chiarezza da Arthur Danto e Howard S. Becker, secondo cui ogni ambito artistico deve essere interpretato come un «mondo», ossia come l’esito un’azione collettiva spesso strutturata, con vincoli produttivi, modelli di consumo e ben precise convenzioni estetiche; in secondo luogo, la nozione di «campo culturale» proposta da Pierre Bourdieu, secondo cui ogni contesto della produzione culturale può essere visto come uno spazio di relazioni sociali e simboliche fra attori, i quali possono avere visioni diverse sul significato della loro attività e utilizzare varie risorse per differenziare il loro status; infine, l’idea di «trauma culturale», delineata da Jeffrey Alexander, secondo cui determinate circostanze, per loro natura drammatiche, possono diventare veri e propri «eventi», in grado di innescare trasformazioni durature nelle rappresentazioni di un gruppo politico, sociale o anche professionale. È combinando con originalità queste tre diverse coordinate teoriche che Santoro imposta la ricerca sulle modalità con cui – più o meno contemporaneamente – vengono costruite una nuova categoria sociale, quella del «cantautore», e una nuova, autonoma, categoria culturale, ossia quella della «canzone d’autore».
In primo luogo, Santoro considera infatti il ‘mondo della canzone’ come un vero e proprio «mondo sociale, caratterizzato cioè da specifiche forme organizzative, figure occupazionali, modelli di carriera, convenzioni, norme, rappresentazioni» (p. 25). Ciò comporta che la canzone debba essere intesa – come d’altro canto ogni altra forma di espressione artistica – quale prodotto di un insieme di attori e di istituzioni (più o meno formalizzate) e non soltanto come il frutto di una creazione individuale. All’interno di una simile prospettiva, la stessa distinzione delle canzoni in generi può essere compresa come effetto di una produzione collettiva di significati, in virtù della quale una determinata canzone (o un determinato cantante) acquista uno specifico valore simbolico e un particolare status.


In secondo luogo, la canzone viene definita da Santoro come un «campo culturale», come «uno spazio di relazioni sociali e simboliche tra attori che, occupando posizioni diverse, hanno visioni diverse della canzone come oggetto culturale, e risorse diverse per imporre il proprio punto di vista, il proprio giudizio estetico (che non è mai solo estetico, ma anche morale e spesso politico)» (p. 30). E, più in particolare, l’attenzione si rivolge alle modalità con cui, dentro questo campo culturale, prende forma il «sottocampo» della canzone d’autore, per effetto dell’emergere di nuovi criteri di distinzione fra i generi musicali (fra musica ‘leggera’ e ‘musica d’autore’) e fra status artistici (fra ‘cantante’ e ‘cantautore’). Già a questo proposito, Santoro propone una tesi piuttosto forte, che tende a interpretare l’invenzione del cantautore nei termini di una rivendicazione di autonomia e specificità portata avanti da un determinato gruppo di cantanti, distinto socialmente e culturalmente dalla gran parte degli artisti che popolano la scena musicale italiana tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Il carattere distintivo, che fin dalla sua genesi definisce la figura del ‘cantautore’, è colto così nell’offerta di «autenticità», di «sincerità», che viene a fissare un discrimine fra la canzone tradizionale e la nuova canzone d’autore. E, soprattutto, la costruzione simbolica di questa ‘autenticità’ è interpretata come una strategia di legittimazione artistica portata avanti da un gruppo emergente.
Ma è il terzo elemento del discorso di Santoro – la centralità attribuita al suicidio di Luigi Tenco, al Festival di Sanremo del 1967 – a costituire il tassello di maggiore originalità della ricostruzione e a esplicitare l’intento ‘genealogico’ evidenziato nel sottotitolo del volume. È infatti il ruolo assegnato al «trauma culturale» del suicidio di Tenco che consente di fornire una spiegazione del processo di trasformazione interno al mondo della canzone. In questo modo, il volume riesce a evitare uno dei limiti più forti della prospettiva dei «mondi artistici», una prospettiva in grado di cogliere l’importanza delle convenzioni estetiche, ma spesso incapace di spiegare i mutamenti dentro ciascun mondo. Santoro, invece, ritrova nel suicidio di Tenco l’evento cruciale, in grado non tanto di sancire la genesi della canzone d’autore, quanto di innescare quel processo di ridefinizione del campo culturale, a partire dal quale si delinea la fisionomia del «sottocampo». Ovviamente, non è la drammaticità del fatto a innescare il «trauma culturale», ma un complesso processo di costruzione culturale che assegna a quel fatto determinati significati sociali, tra cui la stessa idea che una forma di canzone e un tipo specifico di cantante siano dotati di un maggior contenuto di ‘autenticità’.
Nella costruzione culturale di un trauma è fondamentale l’intervento di un frame in grado di fornire una spiegazione e soprattutto di attribuire la responsabilità a qualcuno. Così Santoro mette in luce come, nelle ricostruzioni del suicidio di Tenco, emerga gradualmente, già nei giorni immediatamente successivi alla tragedia, un frame che tende a rappresentare il cantante come una vittima (dell’industria discografica, del mondo della canzone, di un sistema ormai pienamente dominato dalla logica economica). Questo frame viene in seguito rafforzato dalla formazione di carrier groups, ossia da gruppi organizzati che assumono il compito di custodire la memoria, di difendere la reputazione artistica di Tenco, reinterpretandone (anche politicamente) il gesto estremo. Ed è attingendo proprio a questa memoria che nasce anche il Club Tenco di Sanremo, un’organizzazione fondamentale per la «consacrazione culturale» del cantautore.


La complessa ricostruzione che propone il volume si presenta, per molti versi, anche come un primo organico tentativo di svolgere una solida analisi «culturale» del mondo musicale italiano. E, in effetti, l’elemento che contraddistingue il lavoro è l’impegno a poggiare la ricerca su fondamenta teoriche e metodologiche coerenti. Com’è ovvio, il volume lascia (consapevolmente) dei punti inesplorati, suggerendo una serie di ulteriori domande. Tra queste, probabilmente, c’è anche un interrogativo sulla relazione fra la «consacrazione» del campo e la sua (minore o maggiore) capacità di innovazione. Un interrogativo particolarmente interessante, perché, proprio nel momento in cui riesce a conseguire il riconoscimento sociale della propria legittimità, la canzone d’autore sembra smarrire l’iniziale spinta innovativa (non solo sotto il profilo estetico) e si trova costretta a puntare su altre componenti simboliche (dilatando, per esempio, la dimensione ‘cantautoriale’ fino a comprendere le modalità espressive della rockstar).
Al di là di questo, il libro di Santoro può però essere interpretato soprattutto come un’indagine sulla costruzione (simbolica, politica, estetica) dei confini con cui un gruppo professionale emergente riesce a definire la propria identità. D’altronde, l’attenzione per il confine contrassegna quasi tutte le indagini di Santoro, sia che l’oggetto di studio siano le dinamiche di gruppi professionali, sia che si tratti invece della mafia o, in generale, dei processi di produzione culturale. Ed è anche per la capacità di ricostruire i meccanismi di formazione, riproduzione e rafforzamento di questi confini (principalmente, se non del tutto, simbolici), che il lavoro di Santoro costituisce un esempio delle potenzialità offerte dallo studio della cultura. Non solo perché chiarisce come anche un tema all’apparenza frivolo come la ‘canzone’ possa essere studiato in modo rigoroso, ma, soprattutto, perché riesce a mostrare – a chiunque esplori i processi sociali e politici – come si possa seguire la pista indicata dalla «svolta culturale» senza perdere nulla in termini di coerenza analitica, e guadagnando invece parecchio in termini di capacità esplicativa.

Damiano Palano

Marco Santoro, Effetto Tenco. Genealogia della canzone d’autore, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. 280.





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