domenica 15 maggio 2022

«Stato di eccezione», un secolo di equivoci. Un libro di Mariano Croce e Andrea Salvatore


 
di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Mariano Croce e Andrea Salvatore, Cos’è lo stato di eccezione (Nottetempo, pp. 221, euro 16.00), è apparso sul quotidiano "Avvenire" il primo maggio 2022.

Nel 1922, l’allora trentaquattrenne Carl Schmitt diede alle stampe un volumetto sulla dottrina della sovranità dal titolo evocativo (e un po’ criptico) Teologia politica. Non si trattava propriamente di un testo di teoria del diritto, né di una trattazione organica. I quattro capitoli in cui il volume si articolava apparivano infatti legati solo da un filo sottile e ognuno di essi sembrava sviluppare un ragionamento in gran parte autonomo. Nonostante fosse per molti versi un testo meno significativo di quelli che Schmitt avrebbe scritto in quegli stessi anni Venti, quel piccolo libro era destinato a conoscere una fortuna duratura e a introdurre nella discussione nozioni che ancora oggi, un secolo dopo, continuano a orientare l’interpretazione del presente.  Alcune delle frasi roboanti di quel testo erano in effetti destinate a identificare la posizione del giurista e a essere lette in seguito quasi come slogan illustrativi della sua posizione. In quelle pagine si leggeva per esempio: «Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati». Ma era probabilmente sull’incipit lapidario del libro che si doveva concentrare l’attenzione dei lettori di Schmitt: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». In effetti, se all’ambito della «teologia politica» si sono rivolti nel tempo molti studiosi, una fortuna davvero singolare è toccata proprio al concetto di «stato di eccezione». E anche nei due anni di pandemia quella nozione è stata spesso adottata per suggerire l’idea che l’emergenza sanitaria abbia fatto precipitare le società occidentali in una condizione di sospensione del diritto, tale persino da rendere le democrazie contemporanee simili ai regimi totalitari del Novecento.

Il libro di Mariano Croce e Andrea Salvatore, Cos’è lo stato di eccezione (Nottetempo, pp. 221, euro 16.00), si propone innanzitutto di contrastare le letture che riprendono la nozione di Schmitt per interpretare la logica dei provvedimenti emergenziali di oggi. I due studiosi non intendono negare che, a partire soprattutto dall’11 settembre 2001, i provvedimenti di emergenza siano divenuti, sempre più spesso, strumenti operativi ‘normali’, al punto da mettere in discussione la classica divisione dei poteri e il ruolo dei parlamenti. Ma puntano piuttosto a contestare l’utilità del concetto di «stato di eccezione» per classificare e comprendere le odierne disposizioni di emergenza. E si propongono di farlo mostrando come nelle pagine di Schmitt il concetto fosse piuttosto evanescente, tanto da indurre il giurista a liberarsene molto presto, per cercare un fondamento più solido.

In effetti, Croce e Salvatore chiariscono come i saggi raccolti in Teologia politica fossero nati dall’incontro con Max Weber, di cui Schmitt a Monaco aveva frequentato alcuni seminari (oltre che la famosa conferenza sulla politica come «professione»). La frase altisonante sullo «stato di eccezione» è così da intendersi come una sorta di compendio alla riflessione di Weber, relativa in particolare all’idea che la politica sia identificata dal monopolio legittimo della coercizione. Ma la Teologia politica era anche uno dei tanti episodi della polemica di Schmitt contro Hans Kelsen e la sua teoria del diritto. Se per Kelsen era necessario concepire ogni ordinamento giuridico come fondato su una norma di base, per Schmitt era invece indispensabile riconoscerne il fondamento politico. Davvero «sovrano», all’interno di un assetto costituzionale, era dunque il soggetto capace della decisione sovrana, in grado cioè di sospendere le leggi e dichiarare l’«eccezione». Ed era per questo che Schmitt poteva sviluppare la metafora teologica, in cui il sovrano può essere concepito come una divinità in grado di porre le leggi ma di sottrarsi alla loro vigenza.

Nata da un intento polemico, l’idea dello «stato di eccezione», come mettono in luce Croce e Salvatore, apparve però a Schmitt ben presto insoddisfacente. L’idea di un «decisore» sovrano poteva infatti essere utile per chiarire che la politica non era interamente riducibile alle norme, ma lasciava senza risposta quesiti cruciali, relativi per esempio alle condizioni che consentono al «sovrano» di diventare tale o al rapporto tra l’«eccezione» e la norma. Anzi, il giurista di Plettenberg divenne consapevole dei rischi impliciti nella visione decisionista, che tendeva a rappresentare il sovrano come un soggetto capace di imporre con la forza qualsiasi norma. L’espressione «stato di eccezione» non ricompare d’altronde negli scritti successivi. E, per trovare un fondamento più solido, Schmitt abbandonò il decisionismo, approdando a una prospettiva istituzionalista che assegnava al sovrano il compito di ‘proteggere’ il diritto esistente in una comunità.

Nel dibattito successivo proprio questi elementi sono invece stati fraintesi. In particolare, si è letto lo «stato di eccezione» alla luce della concezione del «politico» avanzata da Schmitt. La decisione sull’«eccezione» è stata cioè interpretata come la strategia con cui, grazie alla contrapposizione con un nemico (reale o inventato), un ordine politico può essere rafforzato o costruito. Sulla scorta di quanto scriveva Walter Benjamin in una delle sue tesi sulla filosofia della storia, si è vista così nella proliferazione delle disposizioni emergenziali la conferma dell’ipotesi che lo «stato di eccezione» diventasse la regola. Ma un concetto come quello di «eccezione» si rivela, secondo Croce e Salvatore, una vera e propria lente deformante. Adottando quel concetto, non si è infatti in grado di riconoscere le diverse modalità in cui l’«emergenza» – politica, economica, sanitaria – viene effettivamente affrontata. E si finisce col rimanere imprigionati nelle spire di un concetto claustrofobico, senza riuscire a cogliere, insieme ai rischi, lo spettro di possibilità che l’emergenza talvolta può aprire.

Damiano Palano


 

 

 

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