lunedì 26 luglio 2021

La politica in un mondo vulnerabile. Dentro e oltre la pandemia, un libro di Vittorio Parsi


di Damiano Palano

 All’inizio degli anni Settanta del Novecento la crisi energetica arrestò improvvisamente la crescita delle società occidentali. La letteratura futurologica iniziò a dipingere scenari inquietanti. Secondo alcuni osservatori, la fine del «Progresso» poteva addirittura indirizzare verso un periodo oscuro, una sorta di «nuovo Medioevo» dominato dall’insicurezza, dalla violenza e dalla scarsità. Nessuno degli scenari dipinti allora si materializzò, e molti dei fattori che avevano innescato la crisi alcuni anni dopo sembrarono tornare sotto controllo. Ciò nonostante, quegli esercizi di ‘futurologia’ coglievano linee di tensione reali e aiutavano a focalizzare l’attenzione sui rischi che poneva la transizione verso una società post-industriale. Ed è per questo stesso motivo che anche oggi – dinanzi alla sfida radicale, rappresentata per tutto il pianeta dalla pandemia – è indispensabile tentare di immaginare come sarà il nostro futuro. Non certo perché un simile esercizio possa davvero contribuire a ‘prevedere’ gli eventi. Ma perché riconoscere le tensioni di oggi ci può consentire di rispondere più rapidamente alle crisi di domani. E forse anche di stimare le conseguenze che avranno le decisioni che adottiamo oggi.



Proprio come un esercizio di «immaginazione politologica» deve essere letto il nuovo di libro di Vittorio Emanuele Parsi, Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo. La speranza e il rancore (Piemme, pp. 206, euro 16.90), un testo che è in larga parte diverso, oltre che più ricco, rispetto all’omonimo e-book uscito con il medesimo titolo un anno fa. Nel pieno del «confinamento», nell’aprile 2020 il politologo delineò infatti tre possibili scenari alternativi, verso cui l’irruzione del Covid-19 avrebbe potuto indirizzare le dinamiche globali. A dodici mesi di distanza, le cose sono in parte cambiate, nel senso che la crisi sanitaria si è rivelata molto più duratura rispetto a quanto allora si sperasse, con inevitabili e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico-sociale. E Parsi torna dunque sui tre scenari, approfondendo l’analisi e precisandone i contorni. La pandemia ci ha fatto scoprire il ‘lato oscuro’ dell’interdipendenza, di quella globalizzazione che nel corso dell’ultimo trentennio ha cambiato il volto del pianeta, aprendo molte possibilità, ma anche generando nuovi rischi. «Con il Covid-19», scrive Parsi, «l’umanità si è riscoperta vulnerabile», come l’equipaggio di «una nave senza timone». Al di là delle conseguenze della crisi sanitaria, la consapevolezza della vulnerabilità potrebbe avere ricadute rilevanti sulle tendenze globali. Nel primo scenario – la «Restaurazione» - si potrebbe assistere a una semplice riedizione dell’iperglobalizzazione che abbiamo conosciuto, forse con il ridimensionamento di alcuni progetti e comunque con l’ulteriore crescita delle diseguaglianze nelle democrazie occidentali. Nel secondo scenario – identificato dalla suggestiva formula della «fine dell’Impero Romano d’Occidente» – il dato principale sarebbe invece la «de-globalizzazione»: la riduzione del commercio a lungo raggio, con la frammentazione del globo in sfere di influenza, il recupero delle sovranità nazionali e una spinta verso l’autoritarismo. L’ultimo scenario – il «Rinascimento» – è invece segnato da una regolazione politica del mercato globale, capace di ridurre le diseguaglianze e di stabilizzare la stessa economia. Ciò cui pensa Parsi è una sorta di New Deal globale: una versione aggiornata dell’ordine internazionale liberale post-bellico e all’altezza della sfida posta dall’interdipendenza, ma il cui perno dovrebbero essere ancora una volta gli Stati Uniti. In altre parole, l’alternativa a un mercato senza regole, ma anche al capitalismo di Stato di matrice cinese, sarebbe un «riequilibrio del rapporto tra politica ed economia, tra democrazia e mercato, tra libertà e solidarietà», in grado di trarre un importante insegnamento dalla lezione della vulnerabilità. Ma affinché questo scenario diventi almeno in parte reale, la politica dovrebbe riconquistare la capacità di immaginare al futuro. Una capacità senza la quale l’attività di governo e la discussione pubblica, schiacciate sulla gestione del presente, rischiano di ridursi semplicemente allo sfruttamento del rancore, del risentimento, della paura.

Damiano Palano

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