martedì 3 novembre 2020

Congiure e complotti all’epoca del Covid-19. Un testo di Alessandro Campi tratto da "Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l'economia, la comunicazione e le relazioni internazionali"


di Alessandro Campi

Questo testo è tratto da un più ampio saggio compreso nell'ebook curato da curato da Alessandro Campi, "Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l'economia, la comunicazione e le relazioni internazionali" (Rubbettino). L'intero ebook può essere scaricato gratuitamente sul sito della casa editrice. Alessandro Campi sarà ospite, insieme a Emidio Diodato, di un incontro del ciclo "Stato di emergenza. Discussioni sulla politica sospesa al tempo del virus" GIOVEDI 5 NOVEMBRE 2020 alle ore 18.00. L'incontro sarà introdotto e moderato da Damiano Palano e sarà trasmesso in diretta streaming sui canali social dell'Università Cattolica. 

Come in tutte le fasi di emergenza storica, che ci si trovi coinvolti in rivoluzioni politiche, catastrofi naturali, guerre distruttive, profonde turbolenze sociali o tracolli economico-finanziari, anche la pandemia globale da Covid-19 ha rappresentato, sin dai primi giorni, uno straordinario incubatore di teorie, ovvero di fantasie, complottiste, che la rete – particolarmente golosa di un simile cibo – s’è subito incaricata di diffondere e accreditare. Era già accaduto, in modo analogo e altrettanto intenso, con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che aveva anch’esso prodotto un profluvio di interpretazioni e congetture di stampo cospirazionista ancora oggi largamente circolanti, la gran parte delle quali tese a smentire l’idea – considerata falsa in quanto troppo evidente e scontata – che si fosse trattato di un attacco terroristico pianificato e realizzato da estremisti islamici.

Le finalità delle teorie del complotto odierne in materia di virus sono quelle tipiche da sempre di questo peculiare approccio alla storia e alla realtà, che nella cultura contemporanea rappresenta non solo un genere narrativo a sé stante, ma anche una piccola e assai fiorente forma di industria editoriale: spiegare (meglio: svelare), al di là delle verità fornite dai governi, dagli scienziati e dal sistema dei media, sospette e poco credibili per il solo fatto di venire da fonti ufficiali, le vere cause di un fenomeno o di un evento, altrimenti destinate a restare occulte e nella disponibilità di cerchie assai ristrette. In questo caso, parliamo delle ragioni effettive che hanno prodotto lo scoppio del contagio prima in Cina poi nel resto del mondo: ragioni tutt’altro che imputabili a fattori naturali,  secondo la versione più diffusa e accreditata dalle autorità pubbliche e dagli studiosi (che insistono nel dire che si sia trattato di uno sfortunato ma tutt’altro che improbabile caso di spillover di un agente patogeno dall’animale all’uomo), frutto piuttosto di un’azione deliberata (diffondere il virus in un territorio con lo scopo evidente di recare un danno economico irreparabile al proprio nemico) o, nella meno criminale delle ipotesi, di un errore commesso in qualche laboratorio segreto durante la manipolazione di geni virali in provetta.

Ma non basta. Quello che i complottisti, guardiani autoeletti della verità e della democrazia, intendono portare all’attenzione pubblica è anche la complessa rete di interessi e complicità, di manovre occulte e alleanze trasversali, che si nascondono dietro quella che – ci viene spiegato – non è solo una grave crisi sanitaria che i diversi Paesi hanno affrontato scambiandosi aiuti materiali e informazioni medico-scientifiche, ma anche (se non soprattutto, in prospettiva) una lotta senza esclusione di colpi per il potere mondiale o, più prosaicamente, per esercitare sul “mondo di domani” un’influenza e un controllo sempre più grandi: lotta combattuta grazie al virus, e attraverso le diverse strategie adottate per contenerlo, tra Stati sovrani, multinazionali farmaceutiche, agenzie di intelligence, colossi dell’informatica e delle telecomunicazioni, bande criminali transnazionali, società segrete della più diversa ispirazione, lobbies finanziarie, organizzazioni umanitarie e fondazioni private finanziate da questo o quel multi-miliardario, complessi militar-industriali nazionali ecc.

Ne sono nate ipotesi e interpretazioni le più diverse. Nella versione più estrema, si è arrivati a sostenere che la diffusione del virus e lo stesso allarme pandemico siano stati prodotti ad arte con l’obiettivo di realizzare un poderoso esperimento di ingegneria sociale. Confinare milioni di cittadini nelle loro case, giocando sulla facile paura del contagio, è servito per prefigurare quello che si vuole che sia l’ordine globale del futuro: società rette da una rigida disciplina collettiva, sottoposte al controllo di un potere più paternalista che dispotico e governate da una new class di scienziati-tecnocrati sganciati da qualunque legittimazione popolare o democratica (non abbiamo forse visto, in questi mesi, la politica adeguare le sue decisioni alle prescrizioni vincolanti di virologi ed epidemiologi?).

Non meno allarmistica l’idea che la pandemia, comunque causata, sia l’occasione che i pochi colossi nel settore dei Big Data aspettavano con ansia per imporsi, una volta per tutte, come i veri padroni del mondo. Se la politica, sino a pochi mesi fa, ancora si illudeva di imporre loro regole e divieti riguardo il modo con cui essi raccolgono e gestiscono le informazioni (anche quelle private) relative a miliardi di persone, l’emergenza sanitaria ha del tutto vanificato questa velleità da Stato di diritto ormai al tramonto: il fatto che i dati presenti nelle loro banche informatiche si siano dimostrati strumenti fondamentali per affrontare la pandemia dal punto di vista epidemiologico (ad esempio attraverso il tracciamento digitale da remoto) ha accresciuto a dismisura la capacità negoziale delle High-Tech Corporations nei confronti sia dei governi che delle diverse istituzioni internazionali. La loro forza, già enorme dal punto di vista finanziario e tecnologico, è oggi divenuta politica a tutti gli effetti.

C’è poi chi vede nella corsa di Stati, aziende e centri di ricerca (privati e pubblici) alla scoperta di un vaccino un obiettivo che non è solo quello di realizzare profitti immensi, piuttosto di acquisire un potere globale talmente grande da arrivare a condizionare gli equilibri internazionali del futuro. La potenza che per prima disporrà del vaccino si troverebbe – secondo alcuni – nella stessa condizione di chi per primo dispose dell’arma atomica: potrà dettare le regole del gioco al resto del mondo. Ma se quel qualcuno fosse una multinazionale o addirittura un miliardario travestito da filantropo?

Infine, sul piano della psicologia sociale, l’obiettivo occulto che alcuni vedono come la vera posta in gioco di questa pandemia (“strana” e non del tutto fortuita per alcuni, attesa e largamente prevedibile secondo molti altri) è che attraverso la minaccia – destinata ormai a divenire costante – di malattie potenzialmente in grado di sterminare gran parte dell’umanità, si voglia in realtà “addomesticare” la popolazione mondiale: persone impaurite dallo spettro della morte, tenute in uno stato di allarme costante, saranno per definizione più obbedienti e remissive nei confronti di un potere (anche quello delle democrazie cosiddetti liberali) che nel futuro potrà giustificare qualunque abuso o prevaricazione – compresa la sospensione del diritto vigente e delle libertà fondamentali – nel nome della salute individuale e pubblica.

Rispetto a queste speculazioni – che pur partendo da preoccupazioni in parte reali e motivate finiscono poi per approdare tutte a quello che è da sempre lo spauracchio polemico dei complottisti: il Governo Mondiale degli Illuminati, la Dittatura Universale degli Eletti, il Big Government globale – è forte la tentazione di rispondere con un atteggiamento scettico se non irrisorio: soprattutto quando ci si trova dinnanzi a “teorie” come quelle che ad esempio imputano la diffusione del virus all’indebolimento del sistema immunitario causato dal nuovo standard di trasmissione dati 5G, un business notoriamente controllato, secondo chi la sa lunga, dalla Massoneria in combutta con chissà quali altri centrali occulte. Cos’altro è il complottismo, soprattutto quando assume queste forme estreme e quasi folcloristiche, se non un insulto alla ragionevolezza, al buon senso e alle nostre capacità critiche? Ovvero, per essere clementi, una filosofia della storia o una visione della società fumettistica? Ma un simile rigetto, improntato ad uno sdegno intellettuale tipicamente illuministico, per quanto comprensibile, non basta a spiegare alcune questioni che, trattando del complottismo, non possono essere eluse.

Innanzitutto, perché le teorie che esso ispira vengano prese sul serio, o considerate credibili, da un così gran numero di persone (che sulla base di queste convinzioni tendono poi a orientare le loro scelte politiche e i loro comportamenti elettorali, oltre ad essere attivissime sul piano della cosiddetta contro-informazione e per questo in grado di esercitare una grande influenza). Si tratta solo di ignoranza di massa, della naturale tendenza che alcuni hanno a bersi le fantasie più assurde o di un retaggio mentale infantile fatto di mostri invisibili, forze segrete e maghi cattivi che altri si trascinano inconsapevolmente anche nell’età adulta? In seconda battuta, resta da capire quale sia il meccanismo – psicologico, intellettuale, sociale – che favorisce, soprattutto in certi momenti storici particolarmente convulsi, la nascita e la produzione di tali teorie, col loro strano e ben riconoscibile mix di cultura del sospetto permanente, pseudo-scientificità degli argomenti, vittimismo persecutorio, capacità di trasformare le coincidenze e le causalità in fatti e prove.

C’è chi le vede, soprattutto quelle che fioriscono ai giorni nostri grazie all’attivismo dei social media e alla loro forza moltiplicatrice di qualunque informazione purché “esagerata” e capace di stimolare i sensi, come un diversivo propagandistico ben organizzato e finalizzato a creare confusione: il complottismo sarebbe dunque una forma di manipolazione deliberata della realtà, un modo per inquinare la sfera pubblica immettendovi fatti inventati, notizie eclatanti ma non verificabili, interpretazioni cosiddette alternative di questo o quell’evento, avendo come unico scopo di disinformare, di accrescere il caos sociale, di gettare fango sui propri nemici o di scacciare da sé eventuali sospetti. È quello che si sostiene quando si denuncia l’uso della fake news da parte di alcuni grandi potenze (la Russia, la Cina…) come strumento della cosiddetta infowar: una tecnica di propaganda che sfrutta a proprio vantaggio la tendenza al sensazionalismo che ormai governa il sistema dei media mainstream, dove una notizia falsa diventa vera allorché trova un pubblico che tale la considera. Ma c’è il rischio, ragionando in questo modo, di spiegare il complottismo col… complottismo: nel senso che coloro che diffondono artatamente in rete “ipotesi di complotto” sarebbero coloro che a loro volta complottano sul serio, il che significa creare un gioco di specchi all’interno del quale si rischia di perdersi.

In realtà, l’uso manipolatorio delle notizie false e delle spiegazioni in chiave di retroscena bizzarri e fantasiosi, che pure rappresenta una realtà preoccupante, non esclude affatto che le teorie cospiratorie abbiano spesso una genesi spontanea e un’origine dal basso: nascono cioè come risposta credibile o verosimile ad un bisogno effettivo di conoscenza (gli uomini non possono sopportare alcun vuoto cognitivo a proposito di ciò che accade intorno a loro, hanno sempre bisogno di una spiegazione, di un nesso causa-effetto che dia loro l’impressione di padroneggiare mentalmente la realtà); sono la chiave d’accesso al mondo reale che molti – senza alcun bisogno di essere indottrinati dall’alto o sedotti dalla propaganda – ritengono la più autentica e veritiera per il semplice fatto di vedersi offrire, attraverso esse, una spiegazione causale, semplice e diretta, di fatti complessi e altrimenti inspiegabili, anche quando tale spiegazione non è altro che la razionalizzazione di preconcetti, giudizi e fantasie già esistenti e radicati.

Si tratta di un meccanismo mentale e psicologico ben spiegato a suo tempo da Marc Bloch nel suo classico lavoro (poche pagine, poco più di una recensione, ma quanto ancora oggi illuminanti!) sulle “false notizie di guerra”, sulle credenze e gli stati d’animo collettivi diffusi tra i combattenti all’epoca della Prima guerra mondiale.  Una falsa notizia – di guerra o di pace a questo punto non fa differenza –  nasce sempre, per riprendere le parole dello storico francese, «da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; essa solo apparentemente è fortuita, tutto ciò che in essa vi è di fortuito è l’incidente iniziale, assolutamente insignificante, che fa scattare il lavoro dell’immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento. […] la falsa notizia è lo specchio in cui la “coscienza collettiva” contempla i propri lineamenti». Il che è come dire che attraverso il complottismo si dà corpo ai fantasmi – dunque alle paure e ai pregiudizi – che già abbiamo nella nostra mente. Mai trascurare inoltre – sempre per dirla con Bloch – quanto «una mente depressa in un corpo stanco» (sembra la fotografia di una porzione di umanità nei mesi del Covid-19) finisca per essere facile preda delle emozioni, poco incline ad esercitare il proprio senso critico e dunque disposta a credere a qualunque fandonia purché ben confezionata.

Veniamo così alle domande fondamentali. Cosa spiega in sé la mentalità o visione complottista del mondo? Perché essa – un tempo pericoloso trastullo di piccoli gruppi socialmente borderline o di singole personalità tanto fantasiose quanto emotivamente instabili e dunque portate a cacciare i fantasmi (ma parliamo di minoranze e personalità deviate che con le loro paranoie spesso hanno causato tragedie, operato persecuzioni e realizzato crimini) – è oggi divenuta un fenomeno di massa altrettanto pericoloso? E quanto la pandemia globale può contribuire a radicarla ancora di più? Proviamo a dare alcune risposte.

Partiamo dal fatto che il complottismo è una forma di immaginazione sociale che, in tutte le sue diverse manifestazioni, oscilla sempre tra demonologia (il Male muove la storia) e apocalisse (la Fine della storia come possibilità reale): tra l’idea che pochi esseri potenti e malvagi (incarnazioni dell’Anticristo) tramino nell’oscurità per imporre il loro dominio sugli uomini e sul mondo e l’idea che l’umanità un giorno sarà chiamata a rispondere delle sue colpe e dei suoi peccati su questa terra potendo però sperare nella redenzione celeste o in una qualche forma di salvezza (di solito riservata ai puri, ai giusti e agli innocenti). Queste credenze o fantasie non sono recenti. Sono nate, come è noto, nel Medio Evo, alimentate da speculazioni pseudo-teologiche di stampo millenarista, dai pregiudizi sociali tipici delle società chiuse e arretrate, dalle grandi ondate di paura causate dalle guerre e pestilenze ricorrenti e dalla suggestionabilità delle masse sempre in cerca di un capro espiatorio cui addossare le proprie sventure. Esse sono state intaccate dal razionalismo della modernità solo all’apparenza e in minima parte: in realtà hanno continuato a vivere in forma sotterranea, alla stregua di una memoria o rappresentazione collettiva pronta a riemergere tutte le volte che la “paura della fine” (a causa di un conflitto armato o di un disastro naturale) si è impadronita delle società. È in questo coacervo di pregiudizi e idee malsane che si radica, per fare un solo esempio, il più potente e diffuso mito cospiratorio della storia: quello relativo al governo segreto ebraico, esploso tragicamente nel Novecento, sino a produrre lo sterminio di milioni di uomini, ma frutto appunto di una tradizione demonologico-millenaristica che già nel XIII-XIV secolo vedeva nei giudei dei “figli di Satana” uniti dal disegno di sopraffare e dominare il popolo cristiano, come tali da considerare un nemico tanto assoluto quanto subdolo e spesso addirittura invisibile (esattamente come un “nemico invisibile” è oggi considerato il Covid-19).

Il problema è che questo immaginario contorto e irrazionale, epurato per ovvie ragioni da qualunque richiamo esplicito all’antisemitismo e trasformato in un canovaccio narrativo-spettacolare variamente composto da agenti terrestri del Maligno o da Satana in persona, da esseri che vengono dall’oltretomba o dallo spazio extra-terrestre, da sette segrete capaci di qualunque macchinazione, da salvatori in extremis dell’umanità, da potenze oscure indecifrabili o invisibili e da ogni possibile scenario di “fine del mondo” (l’invasione aliena, il virus o batterio sterminatore, l’impatto di un asteroide col pianeta Terra, l’innalzamento catastrofico dei mari, l’incidente nucleare causato da un errore umano o da uno scienziato pazzo, una nuova epoca di glaciazione, il collasso climatico, la rivolta contro gli uomini delle macchine, il ritorno dei morti dalle tombe ecc.) – quest’immaginario, dicevamo, nell’epoca contemporanea è stato ampiamente coltivato dal cinema, dalla letteratura popolare, dall’universo dei fumetti e dalle serie televisive, sino a farne appunto una mentalità di massa che ormai fatica persino a distinguere la finzione a fini d’intrattenimento dal mondo reale. La pandemia da Covid-19, secondo una “trama” già vista in molti film e letta in molti romanzi, non ha forse definitivamente radicato la convinzione che la prima si limita ad anticipare il secondo?

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L'intero saggio può essere scaricato gratuitamente sul sito dell'editrice Rubbettino

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