lunedì 30 dicembre 2019

Stati emotivi, ordine fragile. Un'indagine di William Davies sul potere delle emozioni nella politica contemporanea



di Damiano Palano


Questa recensione al volume di William Davies, Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo (Einaudi, pp. 363, euro 18.50), è apparsa su quotidiano "Avvenire" il 25 settembre 2019 con il titolo Chi specula la nostra fragilità emotiva? 


L’invasione marziana simulata da Orson Welles è rimasta famosa. La domenica sera del 30 ottobre 1938 un’emittente americana mandò in onda un adattamento radiofonico della Guerra dei mondi di H.G. Wells. La programmazione musicale venne interrotta da alcuni comunicati straordinari, in cui si dava notizia dell’atterraggio di un disco volante vicino a New York e dell’inizio del conflitto con gli alieni, secondo le sequenze del romanzo. Alcuni giornali nei giorni seguenti scrissero che la trasmissione aveva innescato una travolgente ondata di panico e di isteria collettiva, perché molti ascoltatori – che non avevano sentito l’annuncio iniziale del programma – erano stati tratti in inganno dalla verosimiglianza dei comunicati. Il fenomeno fu anche studiato dall’Istituto Gallup e da alcuni ricercatori di Princeton. E in qualche modo la vicenda divenne il simbolo della capacità dei media di manipolare le emozioni del pubblico, o di creare delle fake news di grande impatto. Probabilmente, però, anche la storia dell’ondata di panico fu in larga parte una «bufala». Secondo alcune ricostruzioni recenti, il programma di Welles ebbe in realtà un pubblico piuttosto limitato, le persone tratte in inganno furono davvero poche e gli episodi di isteria collettiva vennero quantomeno ingigantiti dalla stampa. D’altronde, in un contesto comunicativo in cui le fonti erano giornali e radio, e in cui i collegamenti telefonici erano ancora scarsamente diffusi, la velocità di trasmissione delle notizie – di quelle vere, ma anche di quelle false – non doveva essere particolarmente rapida. E probabilmente è invece proprio nella velocità degli scambi, oltre che nella pluralità dei canali informativi, la grande differenza tra le fake news di oggi e quelle di ieri.

Parte riconoscendo proprio questo dato William Davies nel suo libro Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo (Einaudi, pp. 363, euro 18.50). Secondo il sociologo britannico, nell’era digitale il vuoto di informazioni attendibili «viene colmato da voci, fantasie e congetture, alcune delle quali immediatamente distorte ed esagerate per adattarle al discorso che si vuole veicolare». E questo fa sì che – come le vecchie folle di Gustave Le Bon – anche noi rinunciamo sempre più spesso alle nostre facoltà razionali, per affidarci alle emozioni. Una conferma di questa lettura è offerta dal seguito che ottengono gli appelli carichi di emotività dei leader populisti, o anche dal discredito di cui sono oggetti gli «esperti». Ma Davies cerca risposte più profonde, che lo conducono all’alba dell’età moderna. Nel corso del Seicento, le scienze europee fissano infatti due cruciali linee di confine: in primo luogo, grazie a Hobbes, separano guerra e pace; in secondo luogo, con Cartesio, distinguono nettamente tra mente e corpo. L’ordine politico della modernità nasce proprio dalla costruzione del Leviatano hobbesiano, mentre l’idea moderna di una scienza ‘oggettiva’ si intreccia con la visione cartesiana. Secondo Davies questi confini sarebbero invece oggi sempre più incerti, e da questo discenderebbe l’importanza delle componenti emotive. Per un verso, la distinzione tra guerra e pace (insieme a quella tra interno ed esterno) è sempre meno netta. Per l’altro, le nuove conoscenze mettono in discussione la sagoma cartesiana, proponendo un’immagine dell’essere umano come posseduto da istinti ed emozioni. Dunque, l’hobbesiano «stato di natura» torna a essere realistico. La richiesta di sicurezza diventa sempre più importante, mentre la fiducia in istituzioni ‘neutrali’ e super partes si indebolisce. L’esperienza del deterioramento fisico sperimentata da una parte della popolazione occidentale (e testimoniata per esempio dalla riduzione dell’aspettativa di vita nel Regno Unito) riporta inoltre sulla scena richieste relative alla sicurezza corporea. Ma contribuisce anche ad accrescere la dose di emotività delle rivendicazioni contro gli «esperti». Così chi soffre, e ha bisogno di empatia, può trovare nel «nazionalismo» un rimedio, se non una cura. E, in un circolo vizioso, tutto ciò contribuisce ad alimentare un clima di guerra, nel quale le emozioni e l’entusiasmo si rivelano risorse strategiche.

Al termine di un lungo percorso attraverso la modernità, Davies sostiene che è un errore pretendere che i «fatti» si difendano da soli. In altre parole, nel nuovo contesto comunicativo, dovremmo prendere atto che l’ideale di scientificità costruito dalla modernità non funziona più. E benché si possa parteggiare per gli scienziati, è anche indispensabile dare ascolto e capire «la paura, il dolore e il risentimento». Ma l’invito che il sociologo rivolge ai politici – che dovrebbero «riscoprire la capacità di fare promesse semplici, realistiche e in grado di cambiare la vita delle persone» - non è molto più di un topolino partorito da un’enorme montagna teorica. A ben guardare, d’altronde, anche nell’ambizioso affresco storico-dottrinario dipinto da Davies qualcosa non torna. A proposito dell’odierna confusione tra guerra e pace, coglie per esempio una tendenza reale. Ma, quando sostiene che ciò comporta il ritorno della «guerra di tutti contro tutti», sembra dimenticare il Novecento, e cioè le passioni del «secolo breve», la violenza politica, gli scontri ideologici, la «guerra civile mondiale», che certo non furono un frutto dei social media. Per quanto si possano considerare con preoccupazione i segnali di deterioramento del dibattito pubblico e la crescente polarizzazione politica, si dovrebbe d’altronde evitare di cedere a troppo facili paragoni storici. Come ci insegna la leggenda della «beffa» di Orson Welles, oltre a diffidare delle «bufale», dovremmo sempre considerare con cautela anche le spiegazioni deterministiche, che talvolta ingigantiscono il ruolo effettivamente giocato dalle delle fake news. E che rischiano di non cogliere la specificità delle trasformazioni contemporanee.


Damiano Palano

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