lunedì 2 dicembre 2019

Può esistere una democrazia illiberale? Vecchie domande per un mondo nuovo




di Damiano Palano


Questa nota è apparsa sul quotidiano "Avvenire" il 16 novembre 2019.

Può esistere una democrazia senza libertà? Ed è lecito qualificare come «democratico» un regime politico che non rispetta i diritti fondamentali sanciti dalla tradizione liberale? Queste domande non sono certo nuove. Ma negli ultimi anni sono tornate ad affiorare nella discussione politologica, oltre che nella stessa polemica politica. Molti regimi autoritari hanno infatti iniziato a ricorrere a elezioni, nonostante tali consultazioni non siano competitive e benché manchino le garanzie di effettivo pluralismo. Dinanzi a questi regimi «ibridi», che combinano procedure formalmente democratiche con elementi propri dei regimi autoritari, alcuni analisti hanno adottato la formula «democrazia illiberale». Ma si tratta di una categoria problematica, se non altro perché riconosce come democratici regimi che limitano in misura notevole le libertà dei cittadini. È anche per questo che il nuovo numero della rivista «Paradoxa» (3/2019), dedicato a Democrazie Fake, invita a diffidare di tutte le aggettivazioni che ridimensionano la connessione tra democrazia e liberalismo. Gli articoli ospitati nel fascicolo (di Pasquino, Tuccari, Raniolo, Regalia, Viroli, Gherardi, Taffoni, Diodato) fanno innanzitutto il punto sugli stress cui oggi sono sottoposte le democrazie e sul successo delle tendenze illiberali. Ma nel complesso sostengono che il limite discriminante tra democrazia e non democrazia rimane ancora quello fissato nel secolo scorso da studiosi come Joseph Schumpeter, Robert Dahl e Giovanni Sartori. In sostanza – lo ribadisce soprattutto Pasquino – la democrazia esiste solo laddove le cariche politiche sono assegnate (direttamente o indirettamente) mediante elezioni competitive. Ciò comporta che le elezioni debbano essere anche libere e corrette, ossia che non vi devono essere intimidazioni e manipolazioni. E implica che siano garantite le libertà di espressione e di associazione, oltre che la pluralità delle fonti di informazione.
Una simile posizione è teoricamente solidissima e aiuta a fare chiarezza rispetto a concetti maldestri. Non dovremmo però trascurare il fatto che la nostra immagine della democrazia – intesa come democrazia competitiva e liberale – è un’invenzione recente, un prodotto della storia intellettuale del Novecento, dei grandi traumi del «secolo breve», della guerra fredda. Ed è soprattutto il risultato di una ‘reinvenzione’ in virtù della quale molti elementi dalle origini piuttosto disparate sono stati ‘cuciti’ insieme ‘come se’ fossero davvero l’eredità di una storia coerente che dall’Atene di Pericle giunge sino a noi. Osservando il passato, non possiamo per esempio trascurare il fatto che l’aspirazione alla democrazia ha spesso assunto un volto illiberale e talvolta anche ‘totalitario’, o che nella stessa storia delle più antiche democrazie liberali si sono a lungo nascosti elementi patentemente illiberali. Ma non possiamo neppure dimenticare che il catalogo dei diritti liberali si è nel corso degli ultimi due secoli notevolmente modificato e che, soprattutto, è cambiato il profilo di coloro che sono considerati legittimi detentori di quei diritti. Con una prospettiva storica più ampia, dobbiamo dunque considerare un po’ più problematicamente la relazione tra democrazia e liberalismo. E non possiamo neppure escludere che nel «mondo post-americano» (o comunque in un mondo in cui l’Occidente avrà perso la propria centralità) emergeranno differenti concezioni dei diritti e delle libertà «fondamentali». O che regimi democratici – dotati di elezioni competitive, pluralismo politico, diritti di espressione e associazione – potranno contrapporsi tra loro anche per le differenti concezioni dei diritti «liberali». E forse alcune delle tendenze «illiberali» contemporanee potrebbero prefigurare già qualcosa del genere.
Naturalmente tutto ciò non sminuisce l’importanza della democrazia liberale, delle sue procedure, delle sue garanzie. Piuttosto, deve ricordarci che la democrazia liberale è un’invenzione umana, e che proprio per questo rimane un assetto tutt’altro che granitico. In ogni caso, rimarcare i caratteri distintivi della democrazia liberale non può esimerci dalla necessità di comprendere le trasformazioni politiche (del passato ma anche del presente). E non ci esenta dal dovere intellettuale di riconoscere i mutamenti nelle aspettative e nelle aspirazioni che la parola «democrazia», dopo duemilacinquecento anni, continua ad alimentare.

Damiano Palano





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