venerdì 1 novembre 2019

Quando il popolo è malato. "Demopatia" di Luigi Di Gregorio


di Damiano Palano 

Questa recensione al volume di Luigi Di Gregorio, Demopatìa. Sintomi, diagnosi e terapie del malessere democratico (Rubbettino, pp. 314, euro 18.00), è apparsa sul quotidiano "Avvenire".



Mentre «la falsità spicca il volo, la verità la insegue zoppicando», diceva Jonathan Swift qualche secolo fa. E dal momento che gli attori politici – come ci ricordano i classici – hanno sempre fatto più meno ricorso alle menzogne, potremmo ridimensionare l’enfasi che molti commentatori hanno riservato alle fake news. O, semmai, potremmo limitarci a osservare che la «post-verità» in fondo è sempre esistita, anche se la si chiamava in un altro modo. Relativizzando la portata delle fake news, rischieremmo però di perdere di vista una serie di mutamenti che rendono le «bufale» di oggi molto più insidiose rispetto a quelle del passato. La novità non sta infatti nell’esistenza di una serie di bias cognitivi, di meccanismi psicologici che ci inducono sempre a ‘distorcere’ la realtà, bensì nel contesto comunicativo in cui attiviamo tali meccanismi. In altre parole, ognuno di noi tende a considerare coloro che appartengono al proprio gruppo migliori rispetto ai membri di altri gruppi, a prendere per buone le prove che dimostrano le proprie convinzioni, o a sovrastimare l’importanza di ciò che impariamo in prima persona. Se non attivassimo in modo automatico questi meccanismi, probabilmente non riusciremmo a reagire in modo adeguato alle sfide ambientali, e dunque si tratta di risorse estremamente preziose. Ma in una società individualizzata e narcisista come quella contemporanea, e in un contesto comunicativo come quello in cui ci troviamo costantemente immersi, le cose cambiano. Perché si crea un corto circuito di cui non possiamo sottovalutare le implicazioni. Nel suo Demopatìa. Sintomi, diagnosi e terapie del malessere democratico (Rubbettino, pp. 314, euro 18.00), Luigi Di Gregorio fornisce un quadro completo delle tendenze che dovrebbero preoccuparci. E rovescia la logica di molte letture dedicate negli ultimi anni alla «crisi» della democrazia. Se numerosi interpreti attribuiscono le principali responsabilità alla globalizzazione, a élite sempre più autoreferenziali, o all’ascesa della tecnocrazia, Di Gregorio imbocca un’altra strada. Perché il vero responsabile della crisi ai suoi occhi è proprio il «popolo»: quel demos inafferrabile che la democrazia colloca alla base del proprio edificio istituzionale, ma che si è trasformato in un magmatico agglomerato di inguaribili narcisisti. La democrazia è malata, secondo il politologo, proprio perché è malato il demos. E la sua malattia sarebbe una conseguenza delle trasformazioni che ci hanno condotto alla postmodernità: «individualizzazione, perdita di senso sociale, fine delle autorità cognitive, narcisismo, nuove percezioni e concezioni di tempo e spazio, trionfo della sindrome consumistica e della logica totalizzante dell’usa e getta, fine dei luoghi pubblici relazionali e proliferazione dei non luoghi». Il protagonista delle nostre democrazie è così un homo ludens, un individuo volubile, un consumatore compulsivo che aspira a liberarsi da ogni vincolo, che vive la vita come un gioco. E allora il popolo si polverizza in una serie di individualità senza connessioni.

Dato che il quadro è tanto fosco, è comprensibile che Di Gregorio tenda a diffidare delle terapie che vengono spesso indicate come possibili soluzioni alla «demopatìa», dal ricorso a strumenti di democrazia diretta al soccorso della tecnocrazia, dal ritorno alle sovranità nazionali, all’utilizzo del sorteggio per designare i governanti. Ma non rinuncia a indicare una strada. Più che limitarsi a contrapporre i dati di realtà alle fake news, e più che confidare nella razionalità degli elettori, per Di Gregorio dovremmo invece lavorare sugli immaginari e sulla costruzione di contro-narrazioni in grado di bilanciare le narrazioni che mettono a rischio le democrazie liberali. In altre parole, non sarebbe più sufficiente appellarsi ai dati di realtà, sperando che la loro forza riesca a ‘smontare’ le fake news, ma si dovrebbe raccontare quella realtà in modo da renderla più credibile del verosimile. E per quanto sia una strada tutt’altro che priva di insidie, la risposta che le democrazie occidentali daranno ai grandi cambiamenti dei prossimi anni dipenderà in gran parte anche dal modo in cui sapremo raccontarli.



Damiano Palano 


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