mercoledì 8 maggio 2019

L’equivoco del «sovranismo». Una critica (francocentrica) di Bernard Guetta



di Damiano Palano
Questa recensione al volume di Bernard Guetta, I sovranisti (Add editore, pp. 187, euro 14.00), è apparsa sul quotidiano "Avvenire".
Da qualche tempo il termine «sovranismo» è entrato nel nostro lessico politico. Ma spesso non è affatto chiaro quale sia davvero il significato di questa parola. Certo la formula si richiama alla «sovranità», uno dei concetti fondativi della modernità politica. L’invenzione del «sovranismo» però è ben più recente. Probabilmente il termine venne in origine coniato per indicare i movimenti che reclamavano l’indipendenza del Québec, ma l’accezione oggi prevalente – che indica soprattutto l’opposizione al trasferimento di funzioni a organizzazioni sovranazionali – risale a circa vent’anni fa. Nella discussione condotta in Francia sull’adozione dell’euro, alcune posizioni critiche vennero infatti definite «sovraniste». E da allora il neologismo fu adottato per identificare istanze accomunate dalla volontà di ‘riappropriarsi’ della sovranità popolare, trasferita all’Unione europea. Nel suo reportage I sovranisti (Add editore, pp. 187, euro 14.00), Bernard Guetta – in passato corrispondente di «Le Monde» e poi a Radio France Inter – non si concentra però sulla Francia, per molti versi la vera patria del ‘sovranismo’ contemporaneo, ma si focalizza sui casi di Austria, Ungheria, Polonia e Italia. Intervistando intellettuali e politici di questi paesi, Guetta cerca di comprendere quali siano le motivazioni che stanno alla base del successo di Viktor Orbán e di Jaroslaw Kaczynsky, oltre che dell’austriaco Sebastian Kurz e della Lega in Italia. La loro fortuna sarebbe in generale legata alla capacità di presentarsi come difensori del popolo contro le pressioni esterne (economiche, politiche e culturali), che spesso assumono il volto dell’Unione europea. Ma il reporter non rinuncia anche a un’ipotesi ben più suggestiva, secondo cui il sovranismo sarebbe principalmente un «antioccidentalismo», contrario all’Illuminismo in nome della tradizione. Inoltre, a suo avviso non è neppure casuale che esso emerga in paesi che facevano parte dell’Impero asburgico: l’antica ostilità ai progetti di modernizzazione degli Asburgo verrebbe cioè a saldarsi con l’esigenza di ordine e protezione sorta dopo la fine della Guerra fredda.
Per molti versi, la lettura di Guetta finisce con l’interpretare il sovranismo come una rivolta contro la Francia e come una ‘reazione’ oscurantista contro i valori dell’Illuminismo. Ma, al là di una simile distorsione ‘franco-centrica’, è evidente come il suo discorso tenda a trascurare aspetti tutt’altro che secondari. Per esempio, dimentica che la storia della «nazione» - cui molti ‘sovranisti’ si richiamano – è intrecciata ambiguamente con i diritti dell’uomo, con gli ideali della rivoluzione francese, con le istanze della modernizzazione, oltre che con la stessa concezione otto e novecentesca della democrazia.  Tralascia il fatto che alcuni ‘sovranisti’ – per esempio in Olanda e in Germania – si presentano come paladini dei valori dell’illuminismo occidentale, contro l’«islamizzazione». Ma, probabilmente, adottando una chiave di lettura così impegnativa, perde di vista anche la domanda cruciale sulle origini dei sentimenti, delle ansie e delle insicurezze cui il «sovranismo» si alimenta. 

Damiano Palano


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