giovedì 12 luglio 2018

L’ascesa delle democrazie illiberali. "Popolo vs Democrazia" di Yascha Mounk

 Di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale (Feltrinelli, pp. 335, euro 18.00), è apparsa su "Avvenire" il 10 dicembre 2018.

 Nel giugno 1953, i vertici della nascente Repubblica Democratica Tedesca annunciarono il taglio dei salari degli operai edili. Nei mesi precedenti erano già state innalzate le quote di lavoro, e la nuova decisione il 17 giugno innescò così una sollevazione spontanea. Da Berlino Est la rivolta dilagò nel resto del paese, ma fu subito stroncata con il pugno di ferro, anche grazie al sostegno delle truppe sovietiche. Il segretario dell’Unione degli Scrittori fece allora distribuire volantini che criticavano severamente l’insurrezione. «La classe operaia», si leggeva, «ha tradito la fiducia che il Partito aveva in esso risposto». E per riconquistarla avrebbe dovuto aumentare ulteriormente i ritmi di lavoro. Bertolt Brecht, che dopo il suo lungo esilio si trovava ormai stabilmente nella Germania Orientale, si rivolse invece alla Sed, il partito alla guida del regime, avvertendo che in quel modo lo Stato socialista sarebbe durato ben poco. Nella poesia La soluzione fissò in versi lapidari la propria critica all’atteggiamento di quello stesso partito che in teoria doveva rappresentare le istanze della classe operaia, ma che era diventato il severo censore dei lavoratori. E scrisse allora: «Non sarebbe / più semplice, allora, che il governo / sciogliesse il popolo e / ne eleggesse un altro?».

Le reazioni all’ondata populista che sta investendo le democrazie occidentali spesso finiscono col richiamare alla mente l’epigramma di Brecht. Gli allarmi per i successi ottenuti da forze che utilizzano parole d’ordine demagogiche e che innalzano la bandiera della «sovranità nazionale» rischiano infatti, in molti casi, di suonare come una critica al «popolo»: proprio a quel popolo cui nei regimi democratici dovrebbe essere assegnato lo scettro del potere, ma che, quando premia i leader populisti, si mostra inadeguato, ignorante, incapace di scelte responsabili. Tanto che i critici più severi del populismo sembrano talvolta pretendere addirittura che il ‘popolo’ venga sciolto e ne venga eletto un altro. O quantomeno che le decisioni più importanti vengano sottratte al voto degli elettori e affidate a organi tecnici, impermeabili ai mutevoli umori dell’elettorato. In questo modo, non ci si interroga però sui motivi più profondi che stanno spingendo molti elettori occidentali verso posizioni che solo alcuni anni fa non avrebbero neppure preso in considerazione. Un invito a prendere sul serio una simile domanda proviene invece dal libro di Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale (Feltrinelli, pp. 335, euro 18.00), che – pur con molti limiti e parecchie semplificazioni (tra cui quelle relative alle vicende italiane dell’ultimo quarto di secolo) – ha il merito di affrontare con uno sguardo complessivo ciò che sta avvenendo.
In pressoché tutti i sistemi politici occidentali, come mostra Mounk, i voti ai partiti «populisti» (di destra e di sinistra) sono raddoppiati, mentre le forze tradizionali si sono fortemente indebolite e in alcuni casi sono addirittura scomparse. Secondo il politologo tedesco, docente ad Harvard, questi segnali mettono in luce il «deconsolidamento» della democrazia. Di solito, nel linguaggio politologico, si dice che una democrazia è «consolidata» quando tutte le forze politiche, sociali ed economiche ritengono pienamente legittime le regole democratiche, e quando dunque non vi sono all’orizzonte segnali rilevanti di crisi potenziale. Inoltre, una convinzione a lungo nutrita dagli scienziati politici era che per i paesi ricchi, una volta raggiunto il «consolidamento», fosse quasi impossibile tornare indietro. Oggi, almeno agli occhi di Mounk, questa tesi deve essere invece messa seriamente in discussione.
Ci sono in effetti molti segnali che la democrazia si sta deconsolidando. La sfiducia, l’ostilità e persino il disprezzo nei confronti della classe politica sono cresciuti notevolmente. La stessa valutazione della democrazia, come forma di regime, è oggi molto più negativa di quanto fosse vent’anni fa (soprattutto tra le nuove generazioni). In generale, i cittadini risultano essere sempre più favorevoli, o comunque aperti, a soluzioni autoritarie. E diversi paesi – tra cui Polonia e Ungheria – sembrano già avere imboccato la strada di una «democrazia illiberale». La causa non sta però semplicemente negli effetti della crisi economica globale iniziata dieci anni fa. Piuttosto, Mounk indica un cocktail di tre fattori principali. In primo luogo, l’avvento di Internet, che ha consentito agli outsider politici di sfidare i partiti tradizionali utilizzando le nuove potenzialità. In secondo luogo, la stagnazione degli standard di vita della popolazione, che indebolisce la fiducia in un miglioramento futuro e lo stesso sostegno alla democrazia. Infine, il mutamento demografico delle società occidentali, che ha modificato la base ‘monoetnica’ di quasi tutte le democrazie (compresa quella degli Stati Uniti) e che alimenta reazioni da quanti si sentono minacciati dai nuovi arrivati. Nel corso degli ultimi tre decenni, si è consumato però anche un divorzio tra democrazia e liberalismo, nel senso che molte decisioni sono state di fatto trasferite a organismi non elettivi. Ha così preso forma un «sistema di diritti senza democrazia», mentre l’ascesa dei populisti sembra prefigurare l’avvento di una democrazia senza diritti (o, quantomeno, con diritti solo per un gruppo ristretto). 
Le soluzioni che Mounk indica – la riduzione delle diseguaglianze, il ripensamento dell’appartenenza nello Stato-nazione, il controllo delle informazioni che corrono sul web – sono naturalmente solo i titoli di un programma tutto da scrivere e lasciano il tempo che trovano. Ma il quadro che emerge è comunque efficace. E senza cedere al pessimismo, dal momento che non è possibile eleggere un nuovo popolo, è necessario prenderne atto.

Damiano Palano

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