venerdì 9 marzo 2018

Seconda Repubblica addio. Ma la Terza non può nascere. Dopo il 4 marzo


di Damiano Palano

Questo articolo è apparso sul "Giornale di Brescia" il 7 marzo 2018

Con le elezioni del 4 marzo si è definitivamente conclusa la stagione della “Seconda Repubblica”. Ma tutte le tendenze emerse dal voto indicano anche che la strada che conduce alla “Terza” risulta sbarrata da ostacoli piuttosto robusti.
Il primo risultato che le urne ci restituiscono è senza dubbio la débâcle elettorale della sinistra. Non si tratta di un dato che caratterizza solo l’Italia, perché l’ultima tornata elettorale ha fatto registrare clamorose sconfitte per le formazioni che si richiamano alla tradizione socialista anche in Spagna, Francia e Germania. Oltre alla deludente performance di Liberi e Uguali, il dato più eclatante è ovviamente il modesto risultato ottenuto dal Partito democratico (che alla Camera perde più del 7% dei voti) e dall’intera coalizione di centro-sinistra.
La sconfitta del partito guidato da Renzi deve essere però collocata all’interno anche di un’altra grande tendenza, ancora più rilevante: lo sgretolamento del centro politico. Anche se le opposizioni che si collocano sulle ali estreme non possono essere interpretate come declinazioni della destra e (soprattutto) della sinistra, è infatti evidente che lo spazio delle formazioni ‘moderate’ e tendenzialmente ‘centriste’ si è sensibilmente contratto. Per molti versi, il progetto originario del Pd, ossia quello di costruire un partito moderato di centro-sinistra «a vocazione maggioritaria» è naufragato, probabilmente per sempre, schiacciato sotto il peso di cinque anni di governo (oltre che di errori tattici e strategici). Ma è uscita fortemente ridimensionata anche Forza Italia, che rappresentava in queste consultazioni la componente ‘moderata’ del centro-destra. Inoltre, è completamente scomparsa quella fetta di spazio politico che la coalizione guidata da Mario Monti era riuscita a conquistare nel 2013, ottenendo circa il 10% dei suffragi. E nessuna delle piccole formazioni ‘centriste’ ed europeiste (come Più Europa, Civica Popolare, Noi con l’Italia) è riuscita a superare la soglia di sbarramento.
L’ulteriore macroscopica tendenza che esce dal voto è la vittoria di Movimento 5 stelle e Lega, entrambe in grado di ottenere un risultato ben superiore a quello che i sondaggi prevedevano.  Al di là di ogni valutazione, per ora è quantomeno indispensabile prendere atto della consistenza quantitativa della rottura, della «polarizzazione» dell’elettorato italiano e della forza della spinta centrifuga della competizione. Sommando i voti di M5s, Lega, Fratelli d’Italia e dei piccoli partiti che non superano la soglia di sbarramento, risulta infatti che ben più della metà degli elettori ha sostenuto formazioni ‘estreme’. Formazioni che non sono propriamente «anti-sistema», ma che comunque esprimono una critica radicale nei confronti dell’Unione europea, della classe politica e dei partiti ‘tradizionali’ (che in realtà non sono affatto ‘tradizionali’, dal momento che il più antico ha meno di un quarto di secolo di vita).
La conseguenza di un simile quadro è ovviamente l’instabilità, perché nessuna delle ipotesi di coalizione allargata sembra facilmente praticabile. Da un certo punto di vista, la situazione in cui si trova oggi l’Italia è molto simile a quella del 1992-93. Anche allora il centro, rappresentato dalla Democrazia Cristiana, si stava dissolvendo, mentre la Lega Nord e il Movimento Sociale (che si stava tramutando in Alleanza Nazionale), pur conquistando spazi e voti, erano politicamente antitetici. Nell’arco di pochi mesi, prima delle elezioni del 1994, la nebulosa diede origine a un nuovo bipolarismo, grazie alla “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, collante della coalizione di centro-destra, e anche alla scomparsa del “terzo polo” centrista (favorita della legge elettorale). La transizione fu per questo piuttosto rapida. Le condizioni oggi sembrano molto diverse. Per i due leader usciti di fatto vincitori dal 4 marzo, Di Maio e Salvini, è certo allettante la prospettiva di diventare i protagonisti di un nuovo emergente ‘bipolarismo’. Ma il tripolarismo nato nel 2013 probabilmente non scomparirà, a dispetto della sconfitta del Pd e delle altre forze centriste. Ognuno dei tre poli sembra infatti troppo debole per dar vita a un governo, ma al tempo stesso anche troppo forte per uscire di scena o essere inglobato dentro una logica bipolare. Per questo è molto probabile che l’Italia rimanga senza guida politica per parecchi mesi. E con i rapporti di forza che si sono delineati, non dobbiamo così attenderci una rapida transizione alla “Terza Repubblica”.

Damiano Palano

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