mercoledì 22 marzo 2017

Lasch e quel progresso-narciso che indebolisce le libertà. "Il paradiso in terra" in una nuova edizione




di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Cristopher Lasch, l paradiso in terra. Il progresso e la sua critica (Neri Pozza, pp. 670, euro 22.00), è apparsa su "Avvenire" del 14 marzo 2017.

Scomparso nel 1994 all’età di sessantadue anni, Cristopher Lasch rimane una delle figure più originali e interessanti del panorama intellettuale americano degli ultimi decenni. Nato negli anni Trenta a Omaha, in Nebraska, Lasch era per molti versi un figlio della cultura progressista del Middle-West. Influenzato nella propria formazione da figure come Charles Wright Mills, John Kenneth Galbraith ed Herbert Marcuse, negli anni Sessanta entrò a far parte della sinistra protagonista delle mobilitazioni per i diritti civili, delle proteste contro la guerra del Vietnam e della contestazione antiautoritaria nei campus universitari. Il suo armamentario teorico, che combinava alcuni elementi della tradizione americana con Marx e Freud, doveva però ben presto condurlo in una direzione opposta a quella seguita dai principali alfieri della new left. A partire dalla metà degli Settanta iniziò infatti a rivedere criticamente le proprie posizione, a proposito di temi come la liberazione sessuale, l’occupazione femminile e l’assistenza professionale all’infanzia.
Se i giovani degli anni Sessanta avevano issato il vessillo della critica a ogni forma di autoritarismo come condizione per un’autentica liberazione dell’individuo, Lasch riteneva infatti che i mutamenti nella vita familiare, le trasformazioni del settore educativo e le nuove pratiche pedagogiche stessero indebolendo ogni capacità di giudizio indipendente e ogni forma di autodisciplina. Il frutto più noto di questa riflessione – oggi più attuale che mai – fu probabilmente La cultura del narcisismo, un libro che rileggeva le trasformazioni intervenute nella cultura americana degli anni Settanta per mostrare come avesse preso forma una sorta di narcisismo di massa, le cui manifestazioni principali erano il culto per il corpo, l’ossessione per la vecchiaia, la liberazione sessuale. Ma Lasch in seguito riesaminare l’intera tradizione della cultura progressista americana. E da questo punto di vista il suo lavoro più importante è Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica, riproposto oggi a un quarto di secolo dalla sua prima pubblicazione (Neri Pozza, pp. 670, euro 22.00).
Il libro nasceva innanzitutto dal tentativo di spiegare l’ascesa della nuova destra reaganiana e della disfatta di quella sinistra liberal che negli anni Settanta era invece sembrata egemone nel panorama americano. Ma si trattava per molti versi solo della premessa per una critica all’idea illuminista di progresso, comune tanto alla destra quanto alla sinistra.  Un’idea che non solo appariva contrassegnata dalla cieca fiducia riposta nello sviluppo economico e tecnologico, ma che soprattutto riteneva che la natura non ponesse alcun limite invalicabile al potere e alla libertà dell’uomo.  
Contro una simile impostazione, Lasch tornava invece a riscoprire la vecchia tradizione del populismo americano di fine Ottocento, ossia di quel movimento politico che aveva condotto alla fondazione del People’s Party al principio degli anni Novanta. Naturalmente il populismo a cui guardava Lasch aveva ben poco a che vedere con ciò che oggi in Europa si intende con questo termine. Ai suoi occhi il populismo era soprattutto un movimento contrassegnato da un atteggiamento che consisteva nell’affermazione della bontà della vita di fronte ai suoi limiti, e dunque nel rifiuto dello schema progressista di un miglioramento infinito. Attingendo a una serie quantomeno eterogenea di contributi – che comprendeva per esempio il socialismo corporativo di G.D.H. Cole, il realismo morale di Reinhold Niebuhr, la resistenza non violenta di Martin Luther King – ricostruiva così una tradizione di critica al progresso contrassegnata dalla consapevolezza dei limiti e dal timore che le comodità materiali potessero estinguere un ideale più esigente della buona vita. E proprio questa tradizione secondo Lasch poteva infatti consentire di guardare da una nuova prospettiva ai problemi del nuovo millennio. «Nel ventunesimo secolo», scriveva infatti nelle pagine conclusive, «l’uguaglianza implicherà un riconoscimento dei propri limiti, morali e materiali, affatto estraneo alla tradizione del progressismo».

A dispetto dell’interesse della sua operazione, nel quarto di secolo trascorso dalla pubblicazione del libro di Lasch, non si può certo dire che il «nuovo populismo» auspicato dall’intellettuale del Nebraska sia davvero nato, né che l’atteggiamento fondato sulla consapevolezza del limite abbia messo radici. La sua proposta è stata invece liquidata per lo più come il rimpianto nostalgico (se non addirittura reazionario) di un passato irrimediabilmente perduto, mentre l’eredità della tradizione populista è stata completamente dimenticata. Con un incondizionato ottimismo, non si è cessato di ritenere che il progresso possa superare ogni barriera. 

Damiano Palano

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