domenica 19 giugno 2016

Così si "dissolve" il capitalismo. Il libro di Paul Mason





di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Paul Mason, Postcapitalismo. Una guida al nostro futuro (il Saggiatore, pp. 382, euro 22.00), è apparsa su "Avvenire" il 10 giugno 2016.

Poco più di vent’anni fa, nel volume La fine del lavoro, il futurologo Jeremy Rifkin formulò una delle sue previsioni più note, secondo cui la rivoluzione informatica avrebbe comportato l’esplosione della disoccupazione tecnologica e, al tempo stesso, l’emergere di una nuova economia, non più basata sulla ricerca del profitto. L’euforia per i successi della new economy fece rapidamente dimenticare questa ipotesi (certo piuttosto semplicistica). Dopo quasi un decennio di crisi globale uno schema simile – anche se molto più raffinato – viene oggi adottato da Paul Mason in  Postcapitalismo. Una guida al nostro futuro (il Saggiatore, pp. 382, euro 22.00). 
Anche il giornalista economico britannico non fornisce infatti solo un’illustrazione delle principali tendenze economiche che ci attendono, ma indica anche le linee di un programma economico volto a ‘uscire’ dal capitalismo. Mason attinge soprattutto alla «teoria delle onde» di Nikolaj Kondrat’ev, che ipotizzò l’esistenza nello sviluppo del capitalismo di cicli lunghi cinquant’anni, innescati da nuove tecnologie e investimenti in infrastrutture. Guardando agli ultimi due secoli, Mason ritiene che le ipotesi di Kondrat’ev consentano di individuare quattro grandi cicli: il primo segnato dalla macchina a vapore e dallo sviluppo di canali navigabili (1790-1848); il secondo dominato dall’esplosione delle ferrovie (1848-1895); il terzo dall’industria pesante e dalle reti telefoniche (1895-1945); il quarto dall’invenzione dei transistor e dalla scoperta dell’energia nucleare (1945-2008). Con il quinto ciclo, che inizia negli anni Novanta del secolo scorso, sembra però cambiare qualcosa. L’informatica, le tecnologie di rete e un mercato realmente globale non hanno infatti avviato la crescita sostenuta che caratterizza l’inizio di un ciclo lungo. E le motivazioni non sono solo congiunturali. Per Mason – qui sta la sua tesi principale – le tecnologie informatiche stanno infatti ‘dissolvendo’ il capitalismo, perché «corrodono i meccanismi di mercato, erodono i diritti di proprietà e distruggono la vecchia relazione fra salari, lavoro e profitto». In altre parole, l’economia di rete sarebbe incompatibile con il mercato e le sue regole. Al tempo stesso, emergerebbero attività economiche basate sulla cooperazione gratuita e sulla condivisione. E il progetto di una transizione al «postcapitalismo» dovrebbe incaricarsi di rafforzare proprio le nuove pratiche di condivisione.
Come tutte le esplorazioni ‘futurologiche’, il libro di Mason va considerato, più che per le ricette che propone, per le sue provocazioni. In questo senso, il quadro che traccia, nel momento in cui adotta la chiave di lettura di Kondrat’ev, è senz’altro efficace. Ma il discorso diventa molto meno convincente quando illustra le «contraddizioni» che esisterebbero tra il capitalismo e l’economia di rete. Innanzitutto perché la categoria «capitalismo» è sempre molto problematica da utilizzare (anche perché viene adottata con significati spesso diversissimi). Ma, oltre a questo, le visioni della sharing economy e dell’«individuo interconnesso» che Mason propone sono quantomeno ingenue. Come abbiamo imparato negli ultimi anni, le pratiche di «condivisione» che si sviluppano sulla rete possono infatti essere facilmente sfruttate per fini commerciali. E l’«individuo interconnesso», per cui non esiste più distinzione tra tempo di lavoro e tempo di vita (e tra giorno e notte), tende a diventare soprattutto un consumatore totale. Ma il discorso di Mason diventa debole soprattutto perché non sfugge alla tentazione di riconoscere nel presente la fase «suprema» del capitalismo. Cioè quella stessa tentazione che indusse molti esponenti del marxismo novecentesco a considerare la crisi del loro tempo come l’annuncio della «fine» del capitalismo. E proprio per questo Mason finisce in fondo col dimenticare una delle tesi più interessanti di Kondrat’ev, secondo cui il capitalismo è sempre in grado di modificarsi, trovando alimento in nuove tecnologie, in nuovi modelli d’impresa e in nuovi mercati.

Damiano Palano


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