lunedì 31 agosto 2015

L’alienazione in un mondo che corre veloce. Un libro di Hartmut Rosa


di Damiano Palano

Questa recensione al volume di Hartmut Rosa, Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità (Einaudi, Torino, 2015), è apparsa su «Avvenire» il 25 agosto 2015.

È passato poco più di mezzo secolo da quando nel 1964 Herbert Marcuse pubblicò L’uomo a una dimensione. Fin dall’uscita il saggio ottenne un successo travolgente, e – a dispetto del pessimismo che trapelava dalle sue pagine – i giovani contestatori della fine degli anni Sessanta ne fecero una sorta di manifesto. Insieme con la spietata denuncia della società dei consumi, il libro di Marcuse era però destinato a essere dimenticato molto rapidamente. D’altronde con L’uomo a una dimensione si chiudeva anche la vicenda della Scuola di Francoforte, o quantomeno la prima fase della sua storia. Da quel momento la “Teoria critica” iniziò infatti una graduale metamorfosi. E quando si fu placata la fiammata della protesta studentesca gli esponenti più giovani della scuola – come Jürgen Habermas e Axel Honneth – cominciarono a porre al centro delle loro riflessioni temi molto diversi da quelli studiati dalla generazione dei fondatori. 
Negli ultimi anni non sono però mancati segnali di un’inversione di tendenza. Una conferma proviene per esempio dal lavoro di Hartmut Rosa, di cui appare ora in italiano il volume Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità (Einaudi, pp. 125, euro 18.00). Rosa dichiara infatti di voler recuperare lo sguardo originario della “Teoria critica”, ossia l’attenzione prioritaria alla sofferenza umana. E nonostante rinunci alla componente utopica che si poteva riconoscere in alcuni esponenti della Scuola (e soprattutto in Marcuse), riprende anche un concetto impegnativo come “alienazione”. Ma, soprattutto, sostiene che per comprendere l’alienazione contemporanea sia necessario riconoscere le conseguenze dei processi di accelerazione della vita sociale.
Ovviamente Rosa è ben consapevole che non ha molto senso affermare che il tempo corre oggi più in fretta di quanto non facesse trent’anni o due secoli fa. Senza dubbio i trasporti sono mediamente più veloci, ma il fenomeno che introduce una cesura radicale nella percezione sociale del tempo è soprattutto la «contrazione del presente»: un processo che consiste nella sempre più rapida decadenza dell’affidabilità dell’esperienza e delle aspettative. In altri termini, siamo sempre più consapevoli che tutti i dati della nostra esperienza – i numeri di telefono degli amici, gli orari dei apertura dei negozi, il lavoro dei nostri conoscenti – non sono destinati a durare, e che per questo non saranno un riferimento affidabile per il futuro. Al tempo stesso si accelera anche il tempo di vita: se molti strumenti ci consentono in teoria di ‘risparmiare’ tempo, in realtà i nostri ritmi non rallentano affatto, e il tempo sembra anzi sempre più scarso. Ed è proprio la sensazione di avere meno tempo a indurre Rosa a recuperare la nozione di “alienazione”. L’alienazione di cui parla lo studioso non è però quella evocata dal giovane Marx, perché ciò che ai suoi occhi risulta ‘alienata’ oggi, a causa del nuovo «totalitarismo» dell’accelerazione, è la nostra capacità di “appropriazione del mondo”.
Alla radice della nuova alienazione sta però soprattutto la distorsione dell’idea di “vita buona” compiuta dalla logica culturale dominante. Spezzata ogni relazione con la dimensione spirituale, la pienezza della vita viene a dipendere esclusivamente dalla quantità di esperienze fatte da ciascun individuo. “Gustare la vita in tutte le sue altezze e i suoi abissi”, scrive Rosa, “è diventata l’aspirazione principale dell’uomo moderno”. Ma da qui nasce la sensazione di non avere mai tempo a sufficienza. Perché le esperienze realmente vissute non possono che risultare sempre una quota insignificante rispetto a tutte le esperienze mancate. E il risultato non cambia se si accelera la marcia. Tanto che la tragedia dell’individuo moderno sembra davvero quella di “sentirsi imprigionato in una ruota da criceto”. E di essere destinato a correre incessantemente, “mentre la sua fame di vita e di mondo non è mai soddisfatta”.

Damiano Palano

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