lunedì 18 maggio 2015

E Camaldoli criticò il liberalismo. Il "Codice" a settant'anni dalla pubblicazione in un'edizione curata da Michele Dau



di Damiano Palano

Questa recensione al libro di Michele Dau, Il codice di Camaldoli (Castelvecchi, pp. 187, euro 17.50) è apparsa su "Avvenire" di sabato 8 maggio 2015. 

Proprio settant’anni fa, nell’aprile 1945, veniva dato alle stampe e diffuso in circa tremila copie un piccolo volume in cui veniva prefigurata la fisionomia della nuova Italia democratica. Quel volumetto si intitolava Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale, ma sarebbe ben presto stato ribattezzato Il codice di Camaldoli. E proprio con questo titolo viene ora riproposto da Castelvecchi, arricchito da un’introduzione di Michele Dau e dai commenti di Fausto Bertinotti, Valerio Castronovo e Paolo Savona (pp. 187, euro 17.50). Pubblicato quando ormai la guerra volgeva al termine, il testo nasceva dalla discussione svoltasi quasi due anni prima, nel luglio 1943, fra un gruppo di intellettuali e professionisti cattolici riunitisi nel Monastero di Camaldoli. Tra i partecipanti all’incontro (e tra coloro che contribuirono alla rielaborazione del documento) figuravano personalità che avrebbero ricoperto un ruolo di primo piano nella Democrazia cristiana e nella vita pubblica del Paese, come, fra gli altri, Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Giulio Andreotti, Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani. A svolgere una funzione importante fu però soprattutto Sergio Paronetto, una figura spesso dimenticata su cui invece Dau attira con forza l’attenzione.
Paronetto era nato in Valtellina nel 1911, ma si era trasferito a Roma molto giovane per studiare Scienze politiche. Qui era entrato in contatto con il gruppo romano della Fuci, di cui era assistente ecclesiastico Giovanni Battista Montini. Proprio per i suoi interventi, Paronetto fu oggetto all’inizio degli anni Trenta di ripetute aggressioni da parte di bande fasciste, e le violenze subite fecero ulteriormente aggravare le sue già precarie condizioni di salute. Le difficoltà sperimentate durante gli anni della dittatura cementarono comunque il rapporto intellettuale con Montini. Anche se non vi partecipò direttamente (per non destare i sospetti del regime), Paronetto ebbe un ruolo decisivo nell’organizzazione della riunione di Camaldoli. Innanzitutto perché riuscì a coinvolgere le diverse anime della riflessione cattolica. Ma anche perché – come ricordò Montini alcuni anni dopo – redasse materialmente il testo del documento.
Per quanto i novantanove articoli del Codice di Camaldoli si collochino nel solco della Dottrina Sociale, sono evidenti alcuni passaggi che riflettono un cambiamento nelle prospettive di azione. In primo luogo, è netto il sostegno alla democrazia come forma di organizzazione politica, con l’esplicita rivendicazione del diritto dei cittadini «di scegliere e designare gli investiti della pubblica autorità». E, in secondo luogo, è decisa l’enunciazione del principio secondo cui «una società bene ordinata» deve dare «a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia». Era però soprattutto a proposito del ruolo economico dello Stato che emergevano alcuni elementi particolarmente originali. Perché, se certo erano ben chiari i fallimenti del corporativismo fascista, il Codice faceva trasparire anche una diffusa consapevolezza dei limiti del liberalismo classico. Una consapevolezza che suggeriva di imboccare la strada di un’economia mista, in cui lo Stato giocasse un ruolo importante.
Il testo di Camaldoli – è bene tenerlo presente – non era però un manifesto politico. Nell’intenzione degli estensori – e dello stesso Paronetto, che morì poche settimane prima che il documento fosse pubblicato – si trattava piuttosto del primo contributo a una discussione che doveva assumere come obiettivo prioritario l’azione concreta. E d’altronde il tratto forse principale del Codice era il marcato pragmatismo. Un pragmatismo che, pur partendo da una visione complessiva, induceva a cercare nelle condizioni del nuovo assetto internazionale il percorso più adeguato per incidere su una società ancora alle prese con le macerie del conflitto, eppure già alla vigilia di un mutamento radicale.

Damiano Palano

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