lunedì 30 marzo 2015

Martin Wight e la difficile arte della previsione politica. Una recensione a "Fortuna e ironia in politica"

di Damiano Palano 

Questa recensione al libro di Martin Wight, Fortuna e ironia in politica (Rubbettino) è apparsa su "Avvenire" del 15 marzo 2015.

Una delle leggende della Prima Repubblica racconta che Giuseppe Saragat, dopo essere venuto a conoscenza del deludente risultato ottenuto dal proprio partito alle elezioni del 1953, si sia trovato a inveire contro la beffa di un «destino cinico e baro». Naturalmente è molto difficile stabilire se il futuro Presidente della Repubblica abbia mai veramente pronunciato quelle parole, o se l’episodio sia solo il frutto di una riuscita invenzione letteraria. Ciò nonostante l’espressione è entrata nel nostro lessico, e da allora il «destino cinico e baro» è diventato un po’ il simbolo dello scoglio contro cui sono destinati a scontrarsi, quasi inevitabilmente, persino i calcoli più machiavellici. Ed è in qualche modo proprio al «destino cinico e baro», capace di smentire le previsioni più sofisticate, che sono dedicate anche le riflessioni svolte dal politologo britannico Martin Wight (1913-1972) in Fortuna e ironia in politica (Rubbettino, pp. 67, euro 12.00). Finora totalmente inedito, il testo (elaborato tra il 1957 e il 1961) è stato di recente scoperto fra i manoscritti di Wight dal ricercatore e diplomatico sammarinese Michele Chiaruzzi, che ne pubblica ora un’accurata edizione critica. Sebbene Wight, perfezionista fino ai limiti dell’ossessione, avesse deciso di non pubblicarlo, il testo mostra una notevole coerenza e restituisce in pieno la ricchezza delle conoscenze dell’autore. 
Al centro dell’attenzione di Wight è soprattutto la domanda sulla possibilità di fornire una spiegazione causale dei fenomeni politici. E da questo punto di vista la posizione dello studioso britannico si colloca agli antipodi rispetto a quella che, proprio in quegli anni, viene avanzata dai politologi comportamentisti. Per Wight le vicende umane sono infatti date da un intrico di variabili, molte delle quali non sono affatto prevedibili, e per questo muove una netta critica alle differenti varianti di determinismo. Ciò non significa però che, ai suoi occhi, gli studi politici non possano scoprire alcune grandi ‘regolarità’. Ma tali regolarità consistono anche – se non esclusivamente – proprio nel ricorrente riaffiorare dell’imprevedibile, dell’incerto, del paradossale. In altre parole, come nota Chiaruzzi, “l’urgenza non è scoprire presunte leggi eternizzanti della politica”, bensì “comprendere l’ampiezza dei margini di libertà che il processo storico concede all’uomo” e “i confini della responsabilità storica dei soggetti politici”. Ed è forse per questo che le pagine di Wight non hanno perso a tanti anni distanza il loro peso. Ciò non implica naturalmente che i tentativi di prevedere gli scenari futuri della politica internazionale, anche ricorrendo a modelli matematici, siano inutili. Ma significa piuttosto che non possiamo dimenticare che la politica rimane il regno dell’incertezza. E che persino i nostri più elaborati calcoli politici rischiano sempre di essere travolti dalle bizze imprevedibili di un «destino cinico e baro».

Damiano Palano

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