lunedì 16 febbraio 2015

Ma l’Europa nasce a Mezzogiorno. Una raccolta di scritti del meridionalista Manlio Rossi-Doria


Questa recensione a M. Rossi-Doria, Mezzogiorno d’Europa. Lettere, appunti, discorsi 1945-1987 (Donzelli, Roma, 2014), è apparso su "Avvenire" del 13 febbraio 2015.

di Damiano Palano


Negli ultimi anni la discussione sul futuro dell’Unione europea ha spesso assunto i contorni di una netta contrapposizione tra Nord e Sud. Il racconto giornalistico tende infatti a ricondurre lo stallo al contrasto fra i paesi settentrionali, sostenitori del ‘rigore’ e dell’austerità, e i paesi meridionali, favorevoli invece a una maggiore flessibilità nella tenuta dei conti pubblici. Per quanto una simile rappresentazione colga senz’altro alcuni elementi reali, è però indispensabile riconoscere che le difficoltà che vive oggi la costruzione europea nascono da cause molto più complesse. Anche perché si tratta di difficoltà che affondano le radici nelle stesse modalità con cui l’integrazione europea è stata realizzata nel corso di più di mezzo secolo, oltre che negli strumenti utilizzati per colmare il divario tra le diverse zone.
Una prospettiva interessante per accostarsi ai problemi odierni – ma anche per cogliere la complessità di un’impresa senza precedenti – è senz’altro offerta dalle pagine di Manlio Rossi Doria raccolte in Mezzogiorno d’Europa. Lettere, appunti, discorsi 1945-1987 (Donzelli, pp. 292, euro 20.00). Nel suo itinerario, Rossi Doria (1905-1988) riprese infatti tutti i grandi temi al centro del classico dibattito meridionalista, ma li declinò fin dall’immediato dopoguerra in una prospettiva europea. E, soprattutto, fece del rapporto con l’Europa una delle chiavi per ripensare – non solo da intellettuale, ma anche da tecnico e politico – lo sviluppo del Mezzogiorno, a partire naturalmente dai problemi dell’agricoltura, cui dedicò gran parte della propria attività. Il volume, curato da Emanuele Bernardi, restituisce il quadro dei rapporti che Rossi Doria intrattenne fin dagli anni Quaranta con alcuni dei grandi esponenti dell’europeismo. Ma consente anche di chiarire come l’economista percepisse cosa stesse accadendo nel Vecchio continente. Alla metà degli anni Sessanta, in una lettera indirizzata allo storico Franco Venturi, Rossi Doria notava per esempio come, in quella fase, si andasse chiudendo “il processo di sviluppo dell’agricoltura cominciato a mezzo del ‘700 in tutt’Italia”. Al tempo stesso, gli erano ben chiare anche le conseguenze della politica agricola comunitaria. Negli interventi pubblici, così come nella fitta trama di corrispondenze, Rossi Doria infatti non perdeva occasione per sottolineare gli errori compiuti nella costruzione del mercato comune agricolo (consistenti in particolare nella fissazione di un prezzo elevato per i cereali). Gli errori erano il frutto della necessità di dare rapida attuazione al Trattato di Roma, anche al prezzo di qualche compromesso. Ma il punto era che i compromessi rischiavano di aumentare il divario tra regioni ricche e regioni povere.
La consapevolezza dei problemi della politica comunitaria non indebolì comunque la fiducia riposta nell’Europa. Nel suo impegno di tecnico, a fianco dei governi a guida democristiana, e poi come parlamentare nelle fila del Partito Socialista, fra gli anni Sessanta e Settanta, Rossi Doria infatti intese sempre il quadro europeo come la dimensione indispensabile per ripensare lo sviluppo del Mezzogiorno. E piuttosto – come nota Umberto Gentiloni Silveri nell’introduzione – cercò di coniugare le esigenze della programmazione con l’attenzione alle realtà locali, proponendo dunque non interventi uniformi, bensì misure differenziate, adeguate alle caratteristiche dei vari «Mezzogiorni d’Italia».

Damiano Palano

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