giovedì 10 luglio 2014

La Resistenza che sognava l'Europa unita. Il "progetto di costituzione" di Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci



di Damiano Palano

In un museo della storia del pensiero politico occidentale una delle sezioni principali sarebbe senz’altro occupata dalle celebri visioni di repubbliche ideali. In questa galleria avrebbero infatti un posto d’onore la polis prefigurata da Platone, l’isola di Utopia disegnata da Tommaso Moro e la democrazia cittadina vagheggiata da Jean-Jacques Rousseau. Molto probabilmente alla gran parte dei progetti di ordinamento politico elaborati nel corso dei secoli da sognatori, congiurati e polemisti non spetterebbe però neppure una minuscola menzione. E le migliaia di bozze di costituzioni cadute nell’oblio prima ancora di essere discusse finirebbero così accatastate nei sotterranei, insieme ai loro meriti e alle loro bizzarrie. È per molti versi proprio dai polverosi depositi di questo museo immaginario che oggi viene riportato alla luce il Progetto di costituzione confederale europea ed interna (Aragno, pp. 207, euro 12.00), scritto da Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci fra il 1942 e il 1943. Di pochi mesi successivo al ben più famoso Manifesto di Ventotene redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, quel documento fu concepito dai due giovani intellettuali antifascisti come un contributo alla discussione sul futuro assetto democratico. E, soprattutto, come un tentativo di superare lo Stato nazionale, considerato la causa primaria dei conflitti che laceravano l’Europa. La discussione e la stesura del testo dovettero però arrestarsi con la caduta del fascismo. Il lavoro comune ebbe termine infatti l’8 settembre 1943, quando l’armistizio indusse i due intellettuali piemontesi ad accantonare la riflessione per entrare attivamente nella lotta partigiana. Ma toccò al solo Rèpaci, all’indomani del conflitto, dare alle stampe il Progetto e rievocare il “sogno europeo”, concepito in un momento in cui il Vecchio continente si trovava dinanzi a “una questione di vita o di morte”. Divenuto comandante delle brigate “Giustizia e Libertà”, nel dicembre 1944 Galimberti era stato infatti catturato dalle truppe della Repubblica Sociale e abbattuto con una raffica di mitra.
A suggerire di sottrarre alla polvere la vecchia proposta di costituzione, sprofondata da allora nell’oblio, non è soltanto l’intento di riscoprire un tassello dimenticato del pensiero europeista. Come mostrano i preziosi commenti al testo di Luigi Bonanate, Lorenzo Ornaghi e Gustavo Zagrebelsky, ci sono infatti anche altri motivi per rileggere oggi il Progetto di Galimberti e Rèpaci. Uno di questi è per esempio l’inversione, operata dai due autori, del rapporto fra gli Stati nazionali e la dimensione sovranazionale. Il primo articolo – che, come segnala Bonanate, rende il testo davvero originale e precoce – recita infatti: «Il continente europeo è costituito in unità politico-giuridica in forma di Confederazione». In tal modo la Confederazione risulta dotata di una piena sovranità, mentre ai singoli Stati spetta solo un’autonomia interna. E corollari di questa impostazione sono sia l’abbandono del principio di non ingerenza negli affari interni, sia la rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale. Ovviamente il Progetto di costituzione riflette il contesto teorico e politico in cui venne concepito. E anche per questo nei suoi centosettantadue articoli non mancano affatto le ingenuità, gli equivoci e persino alcuni anacronismi piuttosto singolari (come per esempio la conservazione delle colonie e il divieto di costituzione di partiti politici). Ma forse il merito principale del “sogno” di Galimberti e Rèpaci va rinvenuto, come sottolinea Ornaghi, nella “visione” del ruolo politico di una Costituzione. E cioè nell’idea che una Costituzione – anche oggi – possa innescare “processi politici nuovi, tali da far lasciare alle spalle quel crinale ‘di vita e di morte’ lungo cui l’Europa continua a procedere affannosamente, senza più le speranze e le idee, ma anche senza le sofferte convinzioni e il coraggio, di ieri”.

Damiano Palano


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