lunedì 13 gennaio 2014

La fabbrica della paura nel teatro del Mago Cipolla. Una recensione a "Suggestione" di Andrea Cavalletti su "Governare la paura"

Questa recensione del volume di Andrea Cavalletti, Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico (Bollati Boringhieri, 2011, pp. 175), appare sul numero 2013 della rivista "Governare la paura", diretta da Laura Lanzillo

di Damiano Palano

Come La morte a Venezia, anche Mario e il mago, una delle più riuscite novelle di Thomas Mann, ebbe origine da un soggiorno italiano. Sul finire dell’estate del 1926 lo scrittore trascorse infatti un breve periodo a Forte dei Marmi, e proprio durante quella breve vacanza gli capitò di assistere a un inquietante spettacolo di illusionismo. Nella novella, Forte dei Marmi diventò alcuni anni dopo Torre di Venere, mentre dietro il personaggio di Cipolla, il sinistro ipnotizzatore deforme di Mario e il mago, si nascondeva probabilmente – come ha suggerito fra l’altro Clara Gallini trent’anni fa, nel suo classico volume recentemente ripubblicato La sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo nell’Ottocento italiano (L’Asino d’oro, Roma, 2013; I ed. Feltrinelli, Milano, 1983) – l’illusionista toscano Gabrielli, che in quegli anni conquistò una certa popolarità grazie alle sue esibizioni. Nel racconto di Mann venivano ripercorse tutte le sequenze dello spettacolo, dall’atmosfera di attesa che precede l’ingresso in scena, ai primi scambi polemici tra il mago e il pubblico diffidente, agli esperimenti di trasmissione del pensiero, alla vera e propria dimostrazione delle capacità di suggestione di Cipolla. L’esibizione raggiungeva infine il culmine quando Cipolla-Gabrielli induceva il timido cameriere Mario a confessare la sua segreta passione amorosa e quindi a baciare lascivamente il mago, prima di essere risvegliato da uno schiocco di frusta. Del tutto imprevisto, giungeva però l’epilogo tragico. Perché, destatosi dal sonno ipnotico e resosi conto del ridicolo in cui era stato gettato dall’illusionista, Mario consumava la propria vendetta uccidendo Cipolla con un colpo di pistola. 
Naturalmente l’esibizione di Gabrielli ebbe nella realtà tutt’altro epilogo, perché il cameriere, dopo essere stato soggiogato ed esposto al ludibrio del pubblico, si limitò a fuggire comicamente dal palco. Per il resto la novella restituiva probabilmente ciò che, più o meno, era avvenuto davvero nel baraccone della Versilia. Ambientata in un’Italia in cui muoveva i primi passi la dittatura fascista, la storia doveva però caricarsi immediatamente di significati simbolici, e diversi lettori – tra i primi György Lukáks e Hans Mayer – riconobbero in Mario und der Zauberer la metafora di un paese prigioniero del potere ‘magnetico’ di Benito Mussolini. E, in questo senso, non era d’altronde probabilmente fortuito che Mann attribuisse a Cipolla una filosofia per cui «comandare e ubbidire rappresentano insieme un solo principio», per cui «un pensiero è compreso nell’altro, come popolo e duce sono compresi l’uno nell’altro», e per cui «il lavoro, il durissimo ed estenuante lavoro, è in ogni modo opera sua, del duce e organizzatore, che in sé identifica volontà e ubbidienza» (T. Mann, Mario e il mago, in Id., Romanzi brevi, Mondadori, Milano, 1977, p. 220). La lettura suggerita da Lukáks e Mayer non esauriva però tutte le possibili implicazioni ‘politiche’ di un racconto che per molti versi può essere considerato come una metafora inquietante delle dimensioni più oscure del comando e dell’obbedienza. E proprio per questo la novella di Thomas Mann viene a offrire il filo robusto attorno a cui si annoda la riflessione compiuta da Andrea Cavalletti in Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico (Bollati Boringhieri, 2011, pp. 175). Una riflessione che, scomponendo in frammenti le sequenze di Mario und der Zauberer, si muove attraverso digressioni, slittamenti analogici, approfondimenti filosofici, ognuno dei quali risulta sempre affascinante e gravido di sollecitazioni. 



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