lunedì 12 novembre 2012

La democrazia della sorveglianza. Un libro di Emilio Raffaele Papa


di Damiano Palano

Una leggenda, evocata da Hannah Arendt, racconta che un cavaliere attraversò il lago di Costanza senza neppure sospettare di muoversi su una sottilissima lastra di ghiaccio. Giunto sulla riva opposta del lago e compreso il terribile rischio che aveva corso, il cavaliere ne rimase talmente scosso da morire per lo spavento. È proprio con l’immagine del cavaliere di Costanza che si chiude la riflessione sviluppata da Emilio Raffaele Papa nel suo recente L’altra faccia della democrazia. Per una democrazia della sorveglianza (Piero Lacaita Editore, pp. 162, euro 15.00). Un po’ come il leggendario cavaliere, anche la democrazia occidentale ha camminato infatti per quasi mezzo secolo sul sottile strato ghiacciato della Guerra fredda. E, come il cavaliere, sembra paradossalmente entrare in crisi proprio nel momento in cui i suoi zoccoli non poggiano più sulla fragile superficie dell’equilibrio bipolare.
Partendo dalle sfide con cui si trovano oggi alle prese i nostri sistemi politici, il volume di Papa – congegnato come un trattatello settecentesco, e non privo di spunti polemici nei confronti di molti ricorrenti luoghi comuni politologici – ripercorre la storia della democrazia occidentale, dalle origini greche fino alle trasformazioni contemporanee. E il punto critico su cui attira l’attenzione è costituito soprattutto dalla progressiva atrofia delle assemblee elettive e dei partiti politici, ossia proprio di quegli organi cui in passato erano affidate le funzioni principali della rappresentanza politica. Naturalmente, le motivazioni alla base di tali trasformazioni sono complesse, e rimandano peraltro a un cambiamento più generale. Un cambiamento che sembra condurre a quella che Papa – mutuando una suggestiva espressione di Jacquex Géneréux – definisce come una «dissocietà»: una società di individui ‘dissociati’, sempre meno inclini alla partecipazione civica e sempre più ripiegati sugli interessi privati. Proprio questa «dissocietà», così vicina alla folla di individui egoisti prefigurata da Tocqueville, non può che inaridire il terreno su cui si reggono le istituzioni democratiche. Ed è infatti in questo contesto che proliferano sia la protesta antipolitica, sia la ricerca di soluzioni carismatiche.
A differenza del cavaliere del lago di Costanza, la democrazia occidentale è però ben consapevole dei rischi che ha corso. E, secondo Papa, ha anche le risorse per proiettarsi verso un nuovo avvenire. La strada indicata da Papa non passa comunque dai tradizionali meccanismi della rappresentanza, bensì da una consapevole «democrazia della sorveglianza», ossia da una riscoperta dell’istituto del defensor civitas. Ma il difensore civico nazionale cui pensa Papa non è un organo di accertamento, di denuncia, di dialettica. Si tratta infatti un organo di controllo. Un organo che dovrebbe tutelare i cittadini, ma che, al tempo stesso, dovrebbe essere sottratto alla logica delle contrapposizioni partigiane.
La «democrazia della sorveglianza» profilata da Papa sembra per molti versi riprendere la tradizione svedese dell’Ombudsman. Ma, da un certo punto di vista, pare anche attualizzare l’istituto romano del tribunato della plebe. E il merito principale della proposta consiste d’altronde nel tentativo di rispondere in termini originali alle difficoltà che sperimentano i sistemi rappresentativi. Se non altro perché prende atto della crescente divaricazione fra apparati politici e cittadini che abbiamo sotto gli occhi. Una divaricazione che forse non trasforma il ‘popolo’ in una ‘plebe’. Ma che, probabilmente, anche nei prossimi anni non è destinata ad attenuarsi.

Damiano Palano

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