lunedì 24 settembre 2012

Reinhold Niebuhr e l'Ironia della storia americana. La visione di un realista cristiano


di Damiano Palano


Nel 1961, in occasione di un convegno organizzato a New York, presso la cattedrale di St. John the Divine, Hans Morgenthau definì Reinhold Niebuhr come il più grande filosofo politico vivente degli Stati Uniti, e come l’unico studioso di politica che, dopo John Calhoun, avesse mostrato una certa creatività.
Anche se il giudizio era influenzato da una dichiarata prossimità intellettuale, il ritratto dipinto da Morgenthau non era sorprendente. Niebuhr fu effettivamente uno degli intellettuali americani più importanti e originali del suo tempo. Tanto che persino il settimanale «Time», nel 1948, gli dedicò la copertina, indicandolo come il pensatore capace di mettere in guardia l’America dai facili ottimismi del Dopoguerra.
Prima di essere uno studioso di politica, Niebuhr fu soprattutto un teologo. Nato nel 1892 da una famiglia di immigrati tedeschi, Niebuhr si laureò infatti in teologia a Yale. E, prima di insegnare allo Union Theological Seminary di New York, fu anche pastore di una piccola comunità protestante di Detroit, fra il 1915 e il 1928. Nel corso della sua riflessione, profondamente influenzata da Agostino, si dedicò però, quasi costantemente, anche a temi sociali e soprattutto politici. E, in particolare, divenne convinto sostenitore di quella prospettiva teorica che viene spesso indicata come «realismo cristiano». Una prospettiva che – pur avendo alcuni elementi comuni con il classico realismo politico di Tucidide, Machiavelli e Hobbes – attinge soprattutto all’antropologia cristiana e non rinuncia a una marcata dimensione etica. 


Alla base del realismo cristiano di Niebuhr sta in particolare la convinzione che l’animus dominandi, l’inesauribile sete di potere di cui parlava Agostino, sia una caratteristica della natura umana. Un simile riconoscimento non offre però alcuna legittimazione alla politica di potenza, perché diventa piuttosto la premessa per una riflessione che comprenda la specificità del comportamento politico. In altre parole, secondo Niebuhr, si tratta di riconoscere che il comportamento morale dei singoli individui è profondamente diverso da quello dei gruppi. E che, dunque, i criteri con cui valutare le decisioni politiche, anche sotto il profilo morale, sono differenti da quelli che si applicano alle decisioni individuali.
Partendo da queste premesse, il realismo cristiano di Niebuhr risulta in palese contrasto con il «moralismo» della tradizione politica degli Stati Uniti e con la dimensione messianica che contrassegna l’«eccezionalismo» americano. Ed è proprio questa componente che affiora palesemente dalle pagine dell’Ironia della storia americana, una delle opere più importanti del teologo, che ora – ben sessant’anni dopo la prima pubblicazione del 1952 (e più quarant’anni dopo la morte del teologo, avvenuta nel 1971) – esce in traduzione italiana, con una ricca introduzione di Alessandro Aresu (Bompiani, pp. 466, euro 25.00).
Il libro di Niebuhr si presentava esplicitamente come un’interpretazione, «dal punto di vista della fede cristiana», del nuovo ruolo che gli Stati Uniti occupavano dopo la Seconda Guerra Mondiale. In particolare, Niebuhr ritrovava nella storia americana un’«ironia» di fondo, perché la sorte aveva finito con l’assegnare agli Usa un ruolo completamente diverso da quello in cui avevano da sempre confidato. Fin dal momento in cui avevano combattuto per l’indipendenza dalla madrepatria, l’America si era pensata come un Nuovo Mondo, abissalmente distante dal Vecchio continente e dalle sue logiche di potenza. E il suo destino ‘eccezionale’ era stato inteso come una promessa di pace e libertà per l’intera umanità. Proprio queste forti motivazioni ideali avevano spinto gli Usa a entrare nei due conflitti mondiali. Ma la storia aveva poi ‘ironicamente’ consegnato a una «nazione innocente» – insieme ai compiti di una superpotenza globale – le chiavi della possibile distruzione dell’umanità.

Negli ultimi anni, come mostra Aresu nell’introduzione, molti sono tornati a riscoprire nella riflessione di Niebuhr strumenti preziosi con cui interpretare la politica mondiale. Ed è noto come lo stesso Barack Obama abbia dichiarato in più occasioni il proprio debito nei confronti del teologo della Columbia University. Il realismo cristiano di Niebuhr offre in effetti una chiave formidabile con cui ripensare gli errori e le illusioni degli ultimi due decenni. Non solo perché continua a mettere in guardia dalle tentazioni idealiste. Ma anche perché, invitando a moderare l’orgoglio spirituale di ogni potenza, aiuta a comprendere come sia possibile difendere i valori dell’Occidente senza considerare la visione degli Stati del Nord del mondo come ‘moralmente’ superiore. E senza ritenere che i valori di libertà e le istituzioni democratiche dell’Occidente rappresentino la conclusione della storia universale. 

Damiano Palano

Questo testo, con alcune lievi modifiche formali e un titolo diverso, è apparso su "Avvenire" di sabato 15 settembre 2012.   



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