lunedì 13 giugno 2011

Verso il "nuovo Medioevo". Il mondo frammentato e multipolare di Parag Khanna

di Damiano Palano

Quarant'anni fa, nel suo pamphlet Il medioevo prossimo venturo, Roberto Vacca dipinse uno scenario forse eccessivamente pessimista, ma non del tutto irrealistico. Nel suo esercizio di previsione futurologica, Vacca ipotizzava che una serie di incidenti e di coincidenze sfortunate - un blocco dei collegamenti ferroviari e un grande ingorgo nella circolazione stradale - potessero generare una serie di conseguenze disastrose, sul trasporto aereo e sulle linee elettriche e telefoniche. A questi guasti tecnici, secondo Vacca, potevano infatti seguire, piuttosto rapidamente, una serie di reazioni sociali - come i saccheggi di derrate alimentari nei supermercati - rese possibili anche dall'assenza di sistemi di allarme e dall'impossibilità di agire da parte delle forze dell'ordine. Queste reazioni iniziali dovevano innescare nuovi scontri e devastazioni, solo un primo passo verso l'anarchia che sarebbe emersa in seguito. Dopo la fase acuta della crisi, infatti, secondo il quadro dipinto da Vacca, dovevano emergere, nel territorio dei vecchi Stati sovrani, nuovi sistemi politici autonomi, con milizie mercenarie e un'amministrazione autonoma della giustizia, destinati a organizzarsi in una struttura feudale. In altre parole, doveva emergere un nuovo assetto politico ed economico, che avrebbe avuto molti elementi in comune con i 'secoli bui' del Medioevo, segnati dalla violenza, dall'insicurezza, dalla contrazione dei commerci, dalla stasi tecnologica.
Nell'Italia dei primi anni Settanta, le ipotesi di Vacca ebbero senza dubbio il merito di innescare un dibattito sulle trasformazioni che stavano investendo le società industriali, e sui nuovi rischi di una società tecnologica. Proprio commentando lo scenario apocalittico allestito da Vacca, Umberto Eco, per esempio, ebbe modo di proporre un'immagine alternativa - anche se non del tutto antitetica - a quella, fortemente pessimista, di Vacca. Innanzitutto, Eco non poteva non notare come l'immagine del "nuovo Medioevo" attingesse a un'iconografia dell'Età di Mezzo quanto meno semplicistica, se non addirittura caricaturale. Il Medioevo, osservava infatti Eco, individua in realtà un periodo molto lungo e segnato da caratteristiche molto diverse. Ma nessuna delle sue sequenze - anche a dispetto degli effetti della disgregazione della struttura politica imperiale - può essere effettivamente considerata come un'età di 'buio' culturale. Ciò nonostante, Eco considerava seriamente l'ipotesi di un'analogia fra il 'vecchio' e il 'nuovo' Medioevo, e si focalizzava così non tanto sugli aspetti strettamente politici e tecnologici, quanto sull'insieme di processi che conducevano alla costruzione dell'"immagine di un uomo nuovo". In questo senso, la prospettiva della fine del ruolo egemone degli Stati Uniti, l'emergere di nuovi "barbari", la crisi ecologica ed energetica, costituivano solo la cornice di un ben più ampio mutamento culturale, di cui Eco tentava di scorgere i segnali nei fermenti delle controculture degli anni Settanta, nei movimenti giovanili e nel successo di pratiche neo-religiose. I caratteri del nuovo Medioevo erano così, per esempio, la "vietnamizzazione del territorio" (resa visibile dalla creazione di polizie private, ma anche di quartieri e zone cui era precluso l'ingresso alla forze dell'ordine), il deperimento ecologico, ma anche, per un altro verso, l'affiorare di pratiche di neonomadismo, l'emergere di un'"insicurezza" psicologica, prima ancora che storica, la rinascita del principio di autorità o il ruolo politico degli intellettuali.
In particolare, nello scenario illustrato da Eco, un posto fondamentale - se non forse quello centrale - era occupato dai "nuovi barbari", i quali assumevano i contorni dei millenaristi postmoderni, ma anche i tratti della violenza metropolitana: sia di quella che mostrava un'esplicita colorazione politica, sia di quella che prendeva corpo ai margini di eventi sportivi e di grandi manifestazioni musicali. La figura dei nuovi "barbari" - seppur dipinta con minore simpatia di quella che trapelava dalle pagine di Eco - emergeva d'altronde anche dalla letteratura sull'"ingovernabilità", destinata ad accrescersi nel corso degli anni Settanta. Agli occhi di molti osservatori, infatti, i "nuovi barbari" non costituivano semplicemente un aggiornamento del vecchio conflitto di classe, ma si inserivano pienamente all'interno dell'assetto di una "società postindustriale", fortemente dipendente dalle nuove tecnologie e, per questo, molto più vulnerabile rispetto al passato.
Negli anni seguenti, Eco avrebbe ulteriormente approfondito i propri interessi per la vita politica culturale dell'Età di Mezzo, confluiti in seguito nel Nome della rosa. Un romanzo in cui ovviamente è facile intravedere, in filigrana, l'accostamento fra il 'vecchio' e il 'nuovo' Medioevo, tanto che, secondo alcuni, il best seller di Eco può essere addirittura letto come una sorta di romanzo sugli anni Settanta del Novecento. Ma l'idea del "Nuovo Medioevo" ha avuto anche una certa fortuna negli studi politologici, perché diversi studiosi hanno utilizzato questa metafora per sintetizzare le trasformazioni dei sistemi politici occidentali e, soprattutto, del sistema internazionale, nel corso dell'ultimo quarantennio.
In campo internazionalistico, tra i primi a utilizzare l'immagine del "Nuovo Medioevo" fu senz'altro Hedley Bull, uno studioso di origine australiana che viene oggi collocato tra dei padri della "scuola inglese" di Relazioni Internazionali. In The Anarchical Society. A Study of Order in World Politics (Palgrave, Basingstoke, 1977; trad.it. La società anarchica, Vita e Pensiero, Milano, 2006), Bull prendeva in considerazione (anche se solo in chiave problematica) l'ipotesi che il sistema interstatale fosse destinato a trasformarsi. E, proprio articolando questo scenario, individuava quelle tendenze che, in seguito, sarebbero diventate evidenti a molti: la crescita dell'integrazione sovranazionale fra Stati sovrani, l'erosione del monopolio della forza legittima delle unità statuali e la 'privatizzazione' della violenza, la proliferazione delle organizzazioni internazionali, la contrazione tecnologica dello spazio e del tempo, l'ascesa politica delle realtà subnazionali. Dopo Bull, molti altri studiosi hanno fatto ricorso alla metafora neo-medioevale, per sottolineare il rischio di una violenza politica sempre più incontrollabile (come per esempio ha fatto Robert Kaplan), o per cercare di fissare i contorni di un assetto politico ancora in divenire (come in alcuni suggestivi articoli di Jörg Friedrichs).
Ma la metafora del "Nuovo Medieovo" è anche al centro del nuovo libro di Parag Khanna, Come si governa il mondo (Fazi, pp. 360, euro 19.00), un testo che può essere considerato come una sorta di manifesto per una nuova diplomazia. Direttore dalla Global Governance Initiative per conto della New America Foudation, Khanna è noto in Italia soprattutto per il suo I tre Imperi (Fazi, 2009), un testo in cui proponeva di tornare a una visione geopolitica, pur senza disconoscere l'impatto del processo di globalizzazione. In questo nuovo lavoro, il giovane politologo di origine indiana naturalmente non abbandona le vecchie ipotesi, ma le riconduce all'interno di un nuovo scenario. Uno scenario in cui il nuovo ordine mondiale - l'ordine mondiale già oggi esistente - risulta estremamente distante dal vecchio, ma, soprattutto, di fatto incomprensibile se analizzato con gli strumenti concettuali ereditati dal Novecento.
Il punto di avvio del ragionamento di Khanna è infatti costituito dal riconoscimento che la politica mondiale è mutata in modo irreversibile rispetto al passato. "Il mondo del XIX secolo" - scrive per esempio - "era guidato da poche potenze chiave che governavano le rispettive colonie, quello del XX secolo da due contrapposti blocchi di potere. Ma nel XXI secolo l'idea che l'ordine mondiale possa ancora essere manipolato dall'alto è semplicemente irrealistica" (p. 9). Se la realtà del potere globale è mutata, non esistono però istituzioni adeguate al nuovo assetto che va prendendo forma. E proprio per questo, il mondo appare avviato, se non proprio verso una catastrofe, quantomeno verso una serie di emergenze - di fatto ingovernabili per le istituzioni esistenti - di cui Khanna, nelle pagine iniziali di Come si governa il mondo, fornisce un catalogo piuttosto inquietante, ma non certo irrealistico:

"Le potenze incaricate di mantenere la pace sono anche i principali mercanti d'armi; le banche, che dovrebbero incoraggiare il risparmio, suggeriscono alla gente di vivere al di sopra delle proprie possibilità; gli aiuti alimentari arrivano alle popolazioni affamate quando queste sono già morte. Stiamo andando incontro a una tempesta perfetta fatta di esaurimento delle risorse energetiche, crescita costante della popolazione mondiale, scarsità di cibo e acqua; una tempesta che non risparmierà nessuno, ricco o povero che sia. L'elenco delle crisi si allunga giorno dopo giorno: instabilità finanziaria, AIDS, terrorismo, Stati falliti e quant'altro. Senza contare che ciascuno di questi elementi critici amplifica tutti gli altri, creando una spirale verso il basso che coinvolge singole nazioni e intere regioni del pianeta. Nel giro di appena vent'anni potremmo assistere alla trasformazione delle attuali scaramucce combattute per conto terzi in una guerra di grande scala tra America e Cina, al crollo degli Stati più deboli, all'esplosione di conflitti per le risorse fossili di gas e petrolio sotto la superficie degli oceani, allo straripare di rifugiati da un'Africa devastata dalla siccità, alla scomparsa delle isole del Pacifico" (p. 10).
Dinanzi a queste nuove minacce, sarebbe necessario - secondo Khanna - un nuovo disegno istituzionale. Quella cui abbiamo assistito negli ultimi anni è, invece, una sostanziale paralisi planetaria, che rende piuttosto difficile anche solo immaginare il raggiungimento di un consenso globale. La soluzione indicata non passa però dal rafforzamento di nuove istituzioni (o dal rafforzamento dell'impegno degli Stati Uniti). Dato che i problemi sono globali, e dato che nascono in un contesto di fortissima interdipendenza, le loro soluzioni non sono affatto semplici. "Non esistendo alcuna nazione che possa governare il mondo in solitario, non c'è neppure una singola istituzione che può essere in grado di farlo funzionare" (p. 12). Per questo, la soluzione proposta da Khanna è piuttosto uno strumento operativo, la diplomazia, o, meglio, una nuova forma di diplomazia. Se infatti, come scrive, "la diplomazia è la seconda professione più antica del mondo", la sfida di oggi consiste nel comprendere che, dato che il mondo è cambiato, dato che politica mondiale non è più gestita soltanto dagli Stati, allora anche la diplomazia deve cambiare. E, in questo senso, il mutamento principale - per Khanna - assume la fisionomia suggestiva, oltre che inquietante, di un "nuovo Medioevo":
"L'età immediatamente successiva alla guerra fredda sarà ricordata per il rapido emergere di un Medioevo postmoderno, di un mondo privo di un'unica superpotenza dominante. L'Est non sostituirà l'Ovest, la Cina non sostituirà l'America, il Pacifico non spodesterà l'Atlantico: tutti questi centri di potere e tutte queste geografie consisteranno invece in un ecosistema ipercomplesso. Il Medioevo era un intricato sovrapporsi di imperi, città, corporazioni, Chiese, orde tribali e mercenari, tutti impegnati gli uni contro gli altri per governare il territorio, controllare le risorse, conquistare scambi e investimenti, sedurre menti e cuori. Lo stesso quadro è di nuovo in via di dispiegamento. Facendo il gioco delle reti transnazionali del terrorismo, del crimine organizzato e del traffico di droga, la globalizzazione ha reso ancora più deboli gli Stati deboli, mentre multinazionali e ONG hanno guadagnato in status e potere. Il numero dei gruppi che esercitano influenza sta crescendo esponenzialmente: le mappe del mondo di cui siamo in possesso non riflettono più la realtà di quanto accade sul campo" (p. 20).
Se spesso la prospettiva del "nuovo Medioevo" si colora di un fosco pessimismo, la visione di Khanna non è invece così negativa. Ovviamente, l'autore dei Tre imperi non nasconde le difficoltà, le minacce, la gravità delle emergenze. E, in effetti, in Come si governa il mondo si confronta con problemi come la povertà, il riscaldamento globale, l'emergere del 'nuovo colonialismo' portato avanti dagli Stati occidentali, dalle agenzie internazionali, dalle Ong e dalle multinazionali, con la proliferazione della criminalità organizzata e (in una connessione spesso stretta) con il terrorismo internazionale. Ma la discussione si chiude però con la visione di un "nuovo Rinascimento", inteso come un assetto politico capace di rispondere alla realtà del "nuovo Medioevo", e, soprattutto, alla realtà - di fatto irreversibile - dell'interdipendenza globale. "Il prossimo Rinascimento", scrive, "sarà quindi una questione che riguarderà l'espansione esponenziale e consapevole delle interconnessioni" (p. 310). Uno strumento fondamentale è rappresentato, per Khanna, da ciò che definisce come "Megadiplomazia": "un ballo improvvisato che coinvolge coalizioni tra ministeri, imprese, Chiese, fondazioni, università, attivisti e altri soggetti dinamici e di buona volontà, affinché cooperino nel raggiungimento di obiettivi specifici"; una diplomazia fatta da 'coalizioni di volenterosi', "che riuniscono attori statali, imprenditoriali e civili intenzionati a non mettere soltanto la firma, ma a impegnare sul campo uomini e risorse" (p. 34).
Comprensibilmente, la prospettiva di Khanna può sembrare a molti piuttosto presuntuosa, fantasiosa, discutibile. Lo scenario può apparire più vicino a una narrazione fantapolitica, che a un'analisi della realtà contemporanea. E, probabilmente, la convinzione riposta nel "nuovo Rinascimento" e nella "nuova diplomazia" può risultare eccessivamente ottimistica. Ciò nonostante, il libro di Khanna coglie una serie di punti che non possono essere sottovalutati, e con cui anche i critici dell'ipotesi del "nuovo Medioevo" non potranno evitare di confrontarsi. Uno di questi è senz'altro il processo di crescente 'regionalizzazione' del sistema internazionale: un processo in virtù del quale - secondo le parole di Khanna - "il pianeta si sta riorganizzando in sistemi regionali distinti, ciascuno dotato del proprio apparato di regole" (p. 95). Un simile processo, benché all'apparenza contraddittorio, non è affatto in contrasto con la crescita dell'interdipendenza e delle interconnessioni. In altre parole, la 'regionalizzazione' non è il contrario della 'globalizzazione', ma, piuttosto, si alimenta dei flussi globali. Ma c'è anche un altro elemento dello scenario descritto da Khanna che non può essere dimenticato. Non possiamo infatti trascurare che il sistema globale non appare più così facilmente interpretabile con le categorie realiste del bipolarismo e dell'unipolarismo, e forse neppure con la formula dell'unipolarismo. "Nessun leviatano universale, nessun parlamento globale, nessuna egemonia americana potrà più trovarvi posto". Piuttosto, come scrive Khanna, "ci stiamo muovendo nella direzione di un mondo frantumato, frammentato, ingovernabile, multipolare, o non-polare". Un mondo a-polare, in cui potrebbero non esistere più grandi potenze (o superpotenze) capaci di controllare realmente la politica mondiale, e in cui gli attori non statali potrebbero assumere un ruolo politico sempre più esplicito. Un mondo ovviamente molto diverso dal Medioevo europeo. Ma i cui caratteri ci costringeranno probabilmente a prendere sempre più sul serio l'immagine, le suggestioni e la sfida teorica del "Nuovo Medioevo".


Damiano Palano

Parag Khanna, Come si governa il mondo, prefazione di Federico Rampini, Fazi, Roma, 2011, pp. 360, euro 19.00.

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