martedì 22 marzo 2011

Il Leviatano è la democrazia? Il "totalitarismo rovesciato" secondo Sheldon Wolin


di Damiano Palano 

Questa recensione al libro di Sheldon Wolin, Democrazia SPA. Stati Uniti: una vocazione totalitaria? (Fazi. Pagine 494. Euro 24.00), è apparsa su quotidiano "Avvenire" il 19 marzo 2011.

Nelle pagine finali della Demo­crazia in America, Tocqueville formulava la sua famosa profe­zia sulla minaccia che incombeva sul futuro della società democratica. Dopo aver tessuto un elogio quasi incondi­zionato dell’esperimento americano, si soffermava infatti sull’eventualità che proprio una società libera ed egualita­ria come quella americana potesse dar vita a un nuovo dispotismo. Secondo Tocqueville, «una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurar­si piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri», correva il ri­schio di essere completamente domi­nata da un nuovo potere: un potere «as­soluto, particolareggiato, regolare, pre­vidente e mite», che «estende il suo braccio sull’intera società».


Variamente interpretata nel corso del tempo, la vecchia profezia di Tocquevil­le alimenta anche il nuovo libro di Shel­don Wolin, Democrazia S.p.A. Stati Uni­ti: una vocazione totalitaria?. Ma Wolin, proponendo una tesi senza dubbio piut­tosto radicale, va oltre il pessimismo di Tocqueville, perché ritiene che il sistema americano si sia gradualmente trasfor­mato in un 'totalitarismo rovesciato'. Benché possa destare più di qualche comprensibile perplessità, la tesi di Wo­lin ha alla base un esame piuttosto ar­ticolato. D’altronde, Wolin, autore del famoso Politica e visione (Il Mulino), pubblicato per la prima volta nel 1960, è uno tra i più importanti e raffinati stu­diosi americani di teoria politica.

A quasi novant’anni (è nato nel 1922), Wolin non ha perso nulla del vigore po­lemico e del rigore analitico mostrato nei suoi primi saggi. Apparso negli Sta­ti Uniti nel 2008 e vincitore del Lannan Notable Book Award,
Democrazia S.p.A. nasce infatti sull’onda della severa cri­tica all’amministrazione di George W. Bush, anche se non è certo un pamph­let schiacciato sulla cronaca. Il 'totali­tarismo rovesciato' secondo Wolin co­stituisce in realtà l’eredità più ingom­brante della vittoria americana nella se­conda guerra mondiale. Se il New Deal aveva sancito una prima grande mobi­litazione delle energie del paese, l’im­pegno bellico rafforzò ulteriormente questa tendenza, ma, soprattutto, in­trodusse l’idea che gli sforzi fossero ne­cessari per sconfiggere il nemico. Da quel momento, due elementi hanno contrassegnato in modo indelebile la democrazia americana: da un lato, l’e­stensione di un potere statale sempre più sottratto al controllo popolare (co­me nel caso di tutte le questioni di po­litica estera e strategia militare); dal­­l’altro, la nascita e la legittimazione di un nuovo 'elitarismo', inteso come an­tidoto all’ignoranza delle masse. Il 'to­talitarismo rovesciato' scaturisce pro­prio da queste trasformazioni. E, in qualche modo, segna la fusione fra il di­spotismo profetizzato da Tocqueville e il potere del Leviatano hobbesiano.

Da molte pagine di Wolin traspare in modo evidente la protesta contro Bush e la guerra in Iraq. E proprio per questo alcuni degli argomenti sviluppati nel vo­lume possono apparire oggi superati. Sarebbe però probabilmente superfi­ciale liquidare
Democrazia S.p.A. come il tardivo sfogo di un intellettuale im­pegnato, o come la romantica celebra­zione di un’irrealizzabile democrazia partecipativa. Al fondo della vocazione 'totalitaria' sta infat­ti, secondo Wolin, so­prattutto la perdita di riferimenti al bene comune, se non, ad­dirittura, l’idea che un bene comune non esista affatto. E, d’altronde, l’antido­to cui pensa Wolin non è per niente ro­mantico, perché evoca l’immagine di u­na «controélite di amministratori pub­blici democratici», in grado di recupe­rare – e di far recuperare ai cittadini – il senso stesso della convivenza comune. Perché, come scrive, «alla base dell’idea di collettività c’è la convinzione che la cura e le sorti della cosa pubblica siano di interesse comune», «che siamo tutti coinvolti perché ciascuno di noi è im­plicato nelle azioni e nelle decisioni che vengono giustificate a nome nostro». 

Damiano Palano




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